GESTIRE LE RISORSE COLLETTIVE

È POSSIBILE GESTIRE TUTTE LE RISORSE (UMANE, FINANZIARIE E NATURALI) MEGLIO DI QUANTO FACCIAMO OGGI?

Per rispondere a questa domanda, è opportuno premettere alcune definizioni in merito alla loro classificazione.

Classificazione delle risorse

Le risorse si distinguono in rivali e non rivali, escludibili e non escludibili, come segue:

  • Risorsa rivale
    Una risorsa si definisce rivale quando il suo impiego esclude l’utilizzo da parte di un altro.
  • Risorsa non rivale
    Una risorsa si definisce non rivale se essa può essere utilizzata da diversi individui, senza costi supplementari.
  • Risorsa escludibile
    Una risorsa si definisce escludibile quando chi la possiede può impedirne l’accesso ad altri attraverso l’istituzione di regole, come ad esempio il “diritto di proprietà”.
  • Risorsa non escludibile (ad accesso libero o regolamentato)
    Una risorsa si definisce non escludibile se il suo utilizzo non può essere riservato a chi è titolare di un diritto di proprietà bensì è a disposizione di tutti. Essa può anche essere sottoposta a determinate regole di comportamento.

In base alle caratteristiche di rivalità e di escludibilità, le risorse si classificano in:

  • Risorsa privata
    È una risorsa rivale ed escludibile, soggetta al diritto di proprietà.
    È quella che viene comunemente chiamata merce.
  • Risorsa pubblica
    È una risorsa collettiva, non rivale e non escludibile, della quale tutti possono beneficiare liberamente.
    Esempio: l’aria che si respira.
  • Risorsa ibrida
    È una risorsa collettiva, non rivale ma escludibile, alla quale si accede dietro pagamento di una quota.
    Esempi: ponti e autostrade a pedaggio, spettacoli a pagamento.
  • Risorsa comune
    È una risorsa collettiva, rivale e non escludibile, alla quale non si applica il diritto di proprietà. Per la sua gestione, occorre predisporre una serie di regole e di istituzioni. In sostanza, essa è una risorsa non escludibile ma ad accesso regolamentato.

    Esempi: acqua potabile, foreste, reti ferroviarie, reti elettriche, zone di pesca, pascoli, sistemi d’irrigazione, terreno fertile di superficie, combustibili fossili, moneta, lavoro, et cetera.

Infine, le risorse ibride, comuni e pubbliche appartengono al gruppo delle risorse collettive.

                                                                                                                                           Tabella: classificazione delle risorse

La “tragedia delle risorse collettive”

L’acqua potabile, i pascoli, le foreste, il terreno fertile di superficie (il cosiddetto humus), le zone di pesca oceaniche, i combustibili fossili, ossia gran parte del capitale naturale e dei servizi ecosistemici di interesse, sono risorse collettive rivali. Esse dovrebbero essere correttamente gestite come risorse comuni, ossia come risorse collettive ad accesso regolamentato (common). Oggi invece sono quasi universalmente gestite come risorse private e sono inesorabilmente fatte oggetto di accaparramento e predazione, fino al loro esaurimento.

I soggetti interessati: individui, gruppi, aziende, tendono a gestire le scarse risorse collettive rivali come se fossero risorse private. Le sfruttano liberamente, a piacimento, con l’obiettivo di perseguire in modo prioritario i loro interessi individuali. A causa del loro vergognoso comportamento, vengono anche chiamati “appropriatori”. All’inizio, quando la risorsa collettiva rivale è ancora poco sfruttata, gli “appropriatori” esercitano la loro attività con rendimenti crescenti e traggono notevoli benefici personali, senza però danneggiare la collettività. Purtroppo, con il procedere dello sfruttamento, diventa sempre più evidente il conflitto tra l’interesse dei singoli individui e quello della collettività. La risorsa viene sfruttata oltre il suo reddito sostenibile e si esaurisce progressivamente. A questo punto gli “appropriatori” si rendono conto che i rendimenti della loro attività iniziano a diminuire e pertanto, operando in assenza di regole, intensificano ulteriormente i loro sforzi predatori; ma il risultato è un esaurimento ancora più veloce della risorsa e l’anticipo del collasso della loro attività.

Questa dinamica, inizialmente portata all’attenzione del pubblico da Garret Hardin e successivamente approfondita teoricamente dal premio Nobel Elinor Ostrom, va sotto il nome di “tragedia delle risorse collettive” ed è uno degli archetipi del pensiero sistemico, a sottolineare il fatto che è un esempio di comportamento molto diffuso, nei più disparati ambiti.

La “tragedia delle risorse collettive” evidenzia il conflitto sistemico tra il comportamento razionale a livello individuale e quello a livello collettivo. Ciò che sembra un comportamento logico dal punto di vista del singolo individuo, a livello di comunità diventa irrazionale e provoca notevoli disfunzioni. È da sottolineare come, in un contesto di conflitto tra individuo e comunità, tra privato e pubblico, i progressi nella “tecnologia della produttività” non siano affatto di aiuto in quanto accelerano lo sfruttamento delle risorse naturali, anticipando il collasso del sistema.

Serve un cambiamento di paradigma: occorre orientarsi verso una politica che valorizzi e gestisca correttamente le risorse collettive e, in particolare, il lavoro. Nel nuovo paradigma dell’ecologia integrale, il pieno impiego diventa il principale obiettivo politico perché la dignità della persona è un valore fondamentale che deve essere difeso con la massima priorità. Nel paradigma dell’ecologia integrale, la “tecnologia dell’efficienza” assume un posto di rilievo al servizio dell’economia umana. A differenza della tecnologia della produttività, la tecnologia dell’efficienza tende a conservare le risorse naturali (il capitale naturale) e ad impiegare più capitale umano (specialmente in termini di relazioni umane e creatività) per conseguire un’economia sostenibile, rispettosa dell’uomo e dell’ambiente.

La gestione delle risorse comuni

La logica dicotomica (tra risorsa privata e risorsa pubblica, tra privatizzazione e nazionalizzazione) nella quale ci troviamo vincolati, limita fortemente la nostra capacità di gestire correttamente le già ricordate scarse risorse collettive che hanno caratteristiche di rivalità quali: l’acqua potabile, i pascoli, le foreste, lo strato fertile superficiale del terreno (humus), le zone di pesca oceaniche, i combustibili fossili, et cetera. Molte di esse, oggi, sono a rischio di esaurimento perché vengono gestite come risorse private.

Non dobbiamo dimenticare che anche il lavoro e la moneta sono due importanti risorse collettive. Purtroppo, nell’attuale paradigma tecnocratico, che forma il contesto sociopolitico globalizzato oggi dominante, anziché essere correttamente governate come common, esse vengono gestite, a livello sovranazionale, come risorse private e sono sottoposte ad appropriazione da parte di individui e organizzazioni privati.

Una volta Einstein ebbe a dire: “non si può risolvere un problema con la stessa mentalità di chi lo ha creato”. Allora abbiamo una speranza. Noi possiamo risolvere i problemi che ci affliggono da decenni e che ci sembrano irrisolvibili ma a condizione di cambiare punto di vista e adottare una nuova visione, un nuovo paradigma cognitivo della realtà. Un importante passo è quello di rifiutare ogni gestione privata delle risorse collettive rivali e di impegnarsi a gestirle come risorse comuni (common), istituendo un sistema di regole, al fine di poter avervi accesso (e dunque disporne) in modo corretto.

Si tratta quindi di prevedere una seria regolamentazione per una loro corretta gestione, che sinteticamente consiste nelle seguenti attività:

  1. Chiara delimitazione e definizione della risorsa comune
    Gli operatori interessati allo sfruttamento sostenibile della risorsa collettiva si costituiscono in un’organizzazione, sia per dichiarare apertamente i limiti della loro attività sia per distinguersi da ogni altro operatore che non fosse interessato al rispetto delle regole per la gestione sostenibile dell’attività stessa.
  2. Modalità di partecipazione democratica e trasparente
    Tutti i membri dell’organizzazione contribuiscono attivamente a regolamentare l’attività, partecipando al processo decisionale con un dialogo onesto e trasparente, tra pari.
  3. Definizione delle regole
    Tutti i membri partecipano all’attività di sfruttamento collettivo della risorsa, dopo essersi imposti un sistema di regole per la gestione sostenibile della loro attività che si basa sul principio di reciprocità e che rispetta il contesto locale.
  4. Riconoscimento all’autodeterminazione dell’organizzazione
    Il diritto, da parte dei membri dell’organizzazione, di auto imporsi e di modificare le regole di gestione della loro attività viene formalmente riconosciuto da un’Autorità di livello gerarchico superiore (riconoscimento sociale dell’attività)
  5. Sorveglianza da parte degli interessati
    I membri dell’organizzazione o persone da essi appositamente incaricate organizzano sistemi di sorveglianza per accertare che tutti rispettino le regole
  6. Predisposizione di efficaci sanzioni
    I membri si auto impongono un sistema di sanzioni progressive per chi viola le regole dell’organizzazione.
  7. Meccanismi di risoluzione dei conflitti
    Vengono previsti meccanismi, facilmente accessibili e poco costosi, per gestire gli eventuali conflitti tra i membri.

Conclusioni

Sin dagli inizi degli anni ’80, le ricerche in ambito economico (vedasi i lavori del premo Nobel Joseph Stiglitz a questo proposito) hanno dimostrato che i mercati finanziari sono incompleti; una caratteristica che, per effetto della grave interferenza della finanza nell’economia reale, ha coinvolto anche tutti gli altri mercati. Come conseguenza della loro incompletezza, i mercati non solo non assicurano un’equa distribuzione delle risorse collettive rivali ma, addirittura, non possono neppure garantire la loro efficace allocazione. 

La recente ricerca economica, pertanto, ha dimostrato che il mercato, il più importante e magnificato costrutto della teoria economica tradizionale, in realtà è un istituto fallimentare, che non è neppure capace di allocare in modo efficiente le stesse risorse private (le merci). Come immediata conclusione, il pensare di gestire una risorsa collettiva rivale come se fosse una risorsa privata comporta sempre una serie di problemi e genera disfunzioni e ingiustizie sociali.

Dobbiamo dunque combattere le supponenza di pochi che, a causa della disattenzione e dell’ignoranza di molti, agiscono in modo indisturbato e impunito e gestiscono le risorse collettive rivali come risorse private. Essi agiscono ignorando le esternalità generate dal loro riprovevole comportamento; privatizzano i benefici e socializzano le perdite, traendo così notevoli vantaggi personali.

I problemi sociali derivano anche dal fatto che ci siamo imbrigliati nella dicotomia tra risorsa privata e risorsa pubblica. Nella nostra attuale società, il governare le risorse collettive come risorse private anziché come risorse ad accesso regolamentato (common), comporta innumerevoli danni all’ambiente e agli stessi cittadini mentre avvantaggia un’élite tecnocratica e finanziaria che sovrasta la politica e l’economia reale.

Pertanto, al fine di risolvere i problemi di natura sociopolitica e per avviarci verso un futuro di pace e di collaborazione tra i popoli, un modo è quello d’incominciare dalla corretta gestione delle risorse comuni (common) secondo i principi di sussidiarietà, reciprocità e precauzione, e nel rispetto del contesto locale.

Carlo Marazzi

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Carlo Marazzi Ingegnere energetico. Laureatosi nel 1976 in ingegneria nucleare presso il Politecnico di Milano, è progettista e consulente nei settori dell’efficienza energetica, delle energie rinnovabili e dell’ingegneria bioclimatica, temi riguardo ai quali ha partecipato come relatore a conferenze e seminari per conto di società multinazionali ed enti pubblici. Tra i suoi interessi vi è lo studio del pensiero sistemico con l’obiettivo di coniugare economia, ecologia ed energetica in un’ottica interdisciplinare.