Gian Luigi Carancini
Storia di un ‘creativo’ in fuga
Testo di Mario Verger
Gian Luigi Carancini e Ambra Carancini:
i nobili Carancini di Recanati
Introduzione di Mario Verger
Una mattina d’estate del 1993 m’invitò a pranzo la mia compagna del liceo artistico Ambra Carancini, la quale si era trasferita da Trevignano a Roma al Quartiere Tor de’ Cenci all’EUR, da poco rientrata da Pamplona in Spagna essendosi laureata in Scienze infermieristiche al Campus dell’Opus Dei.
Originari di Recanati, i Carancini erano una famiglia aristocratica.
In quell’occasione, oltre a donarle dei cioccolatini, le portai a far vedere il mio primo cortometraggio animato di 12 minuti prodotto con la Corona Cinematografica intitolato L’Egoista buono[1], una rielaborazione moderna di Oscar Wilde, con le musiche di Francesco Santucci e Stefano Liberati: un documentario in animazione realizzato l’anno precedente assieme al produttore Elio Gagliardo, che aveva vinto qualche mese prima il prestigioso riconoscimento del Nastro d’Argento del Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici.
Il padre della mia amica, dott. Mario Carancini, alto e simpaticamente snob, raccontando a pranzo gli studi della giovane figlia in Spagna nella gerarchia dell’Opus Dei, mi rivelò di essere rimasto affascinato dal carisma spirituale di Josemaría Escrivá de Balaguer, che si dichiarava semplicemente «pazzo di Dio».
Sempre il dott. Carancini, provenendo da una nobile famiglia di Recanati, mi spiegò con spirito nazionalistico che in tempo di guerra, durante l’occupazione dei tedeschi prima della Liberazione, suo padre Domenico era stato al nord arruolandosi coi repubblichini; come ancora suo zio Gaetano Mario durante la Seconda Guerra Mondiale era stato un tenente pilota d’aviazione, e che egli stesso aveva un fratello gemello, Giangaetano, tenente colonnello paracadutista.
In quell’occasione, egli ci tenne a farmi ammirare alcuni ricordi di famiglia, medaglie d’argento e, in alto, appeso alla parete, un quadro di aerei militari in volo: un dipinto che ritraeva il fratello maggiore di suo padre con due velivoli volteggianti sullo sfondo, Gaetano Mario, detto “Dido”, tenete pilota aviatore recanatese scomparso nel primo anno di guerra alla giovine età di ventisei anni.
Credo che il quadro che vidi venticinque anni or sono fosse il medesimo o una copia esatta di quello descritto nel recente articolo redatto dallo stesso prof. Gian Luigi Carancini e pubblicato sul quotidiano Cittadino di Recanati, dal titolo, «Recanati. Famiglia Carancini una storia da raccontare»:
«In quello stesso periodo accaddero due tragedie nella famiglia Carancini: due figli del cognato di zia Dolores, il prof. Mario Carancini (fratello maggiore di mio nonno Antenore) che abitava a Palazzo Bello, una villa, anch’essa del Bibbiena, poco fuori Recanati, morirono in seguito agli eventi bellici. Zio “Dido” morì all’inizio della guerra in Grecia, abbattuto con il suo C.R. 42 nei cieli di quella nazione (nel frattempo era stato dichiarato asso dell’aviazione per aver abbattuto in poco tempo due velivoli inglesi). Il suo corpo non fu mai ritrovato (furono recuperati accanto al relitto di un C.R. 42 solo degli stivali appartenuti ad un individuo di notevole statura (zio Dido era alto oltre 1 metro e 90). Gli fu conferita la medaglia d’argento alla memoria. Il quadro di Peruzzi che lo rappresenta è tratto da una foto in primo piano conservata allora dalla zia Dolores; gli aerei che volteggiano sulla sua testa e la rappresentazione del mezzo busto sono un’invenzione del Peruzzi».
Sempre quel giorno del 1993, durante il pranzo ricordo che alla madre, simpatica e minuta signora abruzzese, piaceva moltissimo il film d’animazione in tecnica mista di Maurizio Nichetti & Guido Manuli, Volere volare; quando dopo il caffè proiettai ai Carancini L’Egoista buono, Ambra alla fine, applaudì, assieme alle due sorelle minori, Vanessa e la più piccola Azzurra.
Con l’occasione, facendo una passeggiata, ebbi modo di chiedere ad Ambra Carancini su un regista omonimo, di cui avevo letto in un libro di Piero Zanotto e Fiorello Zangrando, L’Italia di cartone[2], del quale agli Stabilimenti Corona dei Gagliardo avevo da poco visionato fra centinaia di migliaia di film uno in particolare, Tantrum: un corto in animazione, risalente al lontano 1964, la cui regia era firmata da un certo Gian Luigi Carancini e da Alfonso Mulà.
Ambra mi spiegò, raccontandomi la storia familiare dei conti Carancini di Recanati, la splendida città di Leopardi, la parentela col regista della Corona, essendo il suo prozio-cugino: suo nonno Domenico aveva avuto due gemelli, nati a Porto Recanati: uno, Giangaetano, che intraprese, come accennato, la carriera militare, e l’altro, suo padre Mario; Gian Luigi, invece, era loro zio-cugino in secondo grado, in quanto figlio di Gaetano, a sua volta cugino in primo grado del nonno paterno Mimmo, e nipote di Antenore, fratello minore del bisnonno Mario; infatti, Mario, Giovanni e Antenore erano i tre figli del suo trisnonno, un colosso alto oltre due metri, il conte di Recanati Gaetano Carancini.
Ambra mi raccontò di essere imparentata anche col grande poeta Giacomo Leopardi. Il di lei trisnonno Gaetano aveva parecchi fratelli e sorelle, dei quali una, Tomassa, sposò Rodolfo Antici Mattei, casato da cui proveniva in linea materna la famiglia di Giacomo Leopardi.
Qualche settimana dopo tornai anche un’altra volta a pranzo da Ambra, visto che le dovevo restituire le foto che mi aveva prestato, delle quali una, come promesso, da me stampata in una gigantografia che incorniciai in suo ricordo!…
Ricorderò sempre con Ambra un’altra occasione quando, alla fine dell’anno seguente, nel 1994, andammo, insieme all’altro nostro amico di liceo, Valerio Valenti, in uno degli Hotel di lusso più esclusivi della Capitale, L’Hilton di Roma, alla Festa di Non è la Rai, con protagonista l’allora giovanissima «star» Ambra Angiolini, assieme a Gianni Boncompagni, Marco Giusti ed Enrico Ghezzi, Guia Croce e Luca Raffaelli…e con tutte le ragazze del programma Mediaset, le quali si esibirono in un balletto per l’occasione natalizia. Ambra Angiolini presentava in esclusiva l’uscita del suo primo CD musicale in concomitanza con la pubblicazione del libro per la Rai-ERI di Marco Giusti e Alberto Piccinini, corredato delle mie illustrazioni e fumetti relativi al successo del mio primo film a cartoni animati per la Rai, Forever Ambra.
Ricordo la nostra Ambra, la quale fu per la serata simpaticamente oggetto d’attenzione e simpatia da parte dello scrittore Luciano De Crescenzo, che si fermò a parlare con noi per una buona parte della festa prima del brindisi di mezzanotte!
Come ancora due anni dopo, nel 1996, un’intera mattinata con Ambretta Carancini, assieme al simpatico e originale critico cinematografico Enrico Ghezzi, all’interno della Rai-TV…
Ricordo che andai a trovarla anche quando partorì nel 2002 al S. Camillo di Roma, occasione nella quale chiacchierammo anche con la nonna aristocratica di origine piemontese del mio nuovo cartoon, in quei giorni su tutti i giornali, sull’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, intitolato Berluscomic; film d’animazione presentato in anteprima al Festival di Animazione di Luca Raffaelli, trasmesso sulla Rai nel 2004 e “ospitato” per anni sul blog di Beppe Grillo.
Con Ambra Carancini ci incontrammo ancora nel 2008, al ghetto ebraico di Roma, stavolta coi compagni di liceo, Morian Taddei e Valerio Valenti ai tavolini di un bar, davanti alla Sinagoga Ebraica, per decidere il regalo di nozze, avendoci invitato tutti e tre al suo matrimonio, che si svolse la settimana dopo alla Sala del Comune sul Campidoglio. E poi ci invitò al pranzo di nozze, alla Garbatella, al ristorante del marito, anche lui di nome Gaetano.
Ambra lavorava da anni come para-medico e, oltre al primo figlio, ne ha avuto anche un secondo; ma la cara Ambretta ci ha lasciati inaspettatamente alla fine del 2015 in seguito ad un grave incidente automobilistico. L’ultimo saluto alla nostra Ambra avvenne all’EUR, alla Chiesa Gesù Divin Salvatore: non la dimenticheremo mai!
Esiste anche un’omonima, una fotomodella chiamata Ambra Carancini.
Mario Verger
Gian Luigi Carancini
Storia di un ‘creativo’ in fuga
Testo di Mario Verger
«Gentile dottor Verger,
Ho letto già da un po’ di tempo su Internet l’interessante testo da lei a suo tempo dedicato a Osvaldo Piccardo, in cui viene menzionato il mio nome, Gian Luigi Carancini, in relazione ai rapporti di lavoro da me avuti con il reparto animazione della INCOM agli inizi degli anni sessanta; da tempo sto cercando di contattarla e spero con questo messaggio di esserci finalmente riuscito.
Prima di accingermi a mettere su carta alcuni fatti in merito all’attività da me svolta in quella azienda ho anche interpellato recentissimamente Vittorio Sedini, uno dei collaboratori più stretti in quel periodo dello stesso Piccardo, e insieme a me, vero corresponsabile della realizzazione del cortometraggio “L’onesto Giovanni”.
[…]
Sperando che quanto riportato in questa lettera possa chiarire una volta per tutte la verità dei fatti sull’argomento, e dichiarandomi a sua disposizione per ogni ulteriore precisazione che ritenesse necessaria, le invio molti cordiali saluti (ed i ringraziamenti per le parole di apprezzamento che, seppure nella direzione sbagliata, ha voluto comunque riservare a “L’onesto Giovanni”).
Gian Luigi Carancini».
Cominciava così questa lunga lettera inizialmente a me indirizzata, la quale, rielaborata nel tempo e inviata alla Fondazione Fossati a Milano, ha richiamato in seguito, dopo anni, l’attenzione del grande storico dell’animazione Giannalberto Bendazzi.
Gian Luigi Carancini, è nato a Roma nella notte del 24 dicembre 1937, partorito sul tavolo della cucina intorno alle 22, 50, con l’assistenza del ginecologo che voleva tornare a giocare a tombola in famiglia, in quanto giustamente impegnato nel Cenone della Vigilia e ben intenzionato a brindare tra le proprie mura domestiche, allo scoccare della mezzanotte, alla nascita di Gesù Bambino.
Il padre, Gaetano Carancini [appare evidente il ritorno frequente del nome Gaetano nella famiglia Carancini, in ricordo del nonno Gaetano, l’omone alto oltre due metri di cui sopra], subito dopo aver conseguito la laurea in Lettere e Filosofia presso La Sapienza di Roma, entrò nella redazione del ‘Piccolo’ per interessamento della zia Dolores Bocci Carancini, iniziando come giornalista sportivo; successivamente passò al ‘Giornale d’Italia’, quotidiano per il quale allo scoppio del secondo conflitto mondiale fece l’inviato di guerra: fu al seguito delle truppe sul fronte francese oltre il confine ligure e volò spesso su aerei da guerra con una divisa militare, inventata da lui stesso, che lo faceva assomigliare ad un ufficiale d’aviazione. Nel bombardamento di Frascati dell’8 settembre del 1943 Carancini arrivò a bordo di una ‘Topolino’ della redazione [de ‘Il Giornale d’Italia’] mentre i B. 17 stavano ancora sganciando grappoli di bombe. In precedenza gli alleati avevano già bombato il quartiere romano di San Lorenzo: fu questo il primo bombardamento di Roma, che avvenne il 19 luglio del 1943 ad opera di bombardieri statunitensi delle forze aeree alleate del Mediterraneo, guidati dal generale James Doolittle.
L’attacco, fu sferrato la mattina da quasi trecento bombardieri pesanti quadrimotori Boeing B-17; Gaetano Carancini si trovava nel Ministero dell’Aeronautica, ad un passo dal quartiere e dal Verano sotto le bombe degli alleati: di quel drammatico episodio bellico, anni dopo, il figlio Gian Luigi Carancini ricordò, «mio padre raccontava che, affacciato ad una finestra del Ministero, vide un quadrimotore B. 17 ‘beffardamente’ all’inseguimento di un caccia C.R. 42 italiano che cercava di sfuggire ad una delle mitragliatrici poste anteriormente al grande bombardiere».
Nel 1946 Gaetano Carancini fu tra i fondatori del Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani, e come critico cinematografico e teatrale scrisse per tre decenni recensioni sul quotidiano La Voce Repubblicana, nonché sulla rivista Cinema, e dagli anni sessanta anche sul Radiocorriere TV. Nel 1953 fece parte della giuria della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Più tardi, sempre per la Mostra del Cinema di Venezia, fece parte del Comitato Tecnico per la scelta dei film da invitare alla manifestazione veneziana (con lui erano Ernesto G. Laura e Mario Verdone, papà di Carlo).
Gaetano Carancini collaborò anche come sceneggiatore per tre film di discreto rilievo, quali, La roccia incantata di Giulio Morelli (1949), Angelo tra la folla di Leonardo De Mitri e Francesco De Robertis (1952), e Altri tempi di Alessandro Blasetti (1952).
Quando Roma (e l’intero territorio nazionale) fu occupata dalle truppe tedesche dopo l’8 settembre del 1943, la famiglia Carancini si trasferì a Recanati con un viaggio avventuroso in carro bestiame. (Originario della città di Leopardi, il bisnonno, il conte Gaetano Carancini[3], aveva comprato dai marchesi Roberti il Palazzo di Recanati nel 1889. Recentemente il palazzo è stato utilizzato per le riprese di interni del film Il giovane favoloso, sulla vita di Giacomo Leopardi.
Il Palazzo Carancini è uno dei più belli della città appartenuto alla famiglia dei marchesi Roberti, ora di proprietà dei figli di Maria Giulietta Carancini Mongini, sorella maggiore di Gian Luigi, recentissimamente scomparsa (2 novembre 2017). Il prospetto fu rifatto nel ´600 su disegno di Ferdinando Bibbiena, in cotto con decorazioni in travertino. Sempre del Bibbiena il disegno dell’atrio di ingresso e della scala maestosa che è la più ampia e tra le più belle che si possono vedere a Recanati.
Il bisnonno era il conte Gaetano Carancini, il quale ebbe tre figli: il primo Mario, insegnante di liceo solo negli ultimi anni della sua vita, dopo aver fatto per molti anni il ‘possidente’, accudendo semplicemente le sue tenute agrarie: era il vero intellettuale della famiglia, e nella villa alla periferia di Recanati, denominata ‘Palazzo Bello’, aveva radunato una raccolta notevole di quadri, mobili (tra i quali la presunta culla di Giacomo Leopardi, in stile Impero), e oggetti d’antiquariato; il secondo, Giovanni, il più gaudente, svolgeva anche lui con ‘rigore’ la sua vita di proprietario terriero; il terzo, Antenore, padre di Gaetano e nonno di Gian Luigi, con la vocazione ecclesiastica, dapprima novizio dei Passionisti, pensò bene di lasciare il seminario per sposare una pronipote di San Gabriele dell’Addolorata – guarda caso – dell’Ordine dei Passionisti.
Dopo l’8 settembre del 1943, Roma fu dichiarata ‘città aperta’, il cibo scarseggiava e la famiglia Carancini lasciò Roma e si recò nelle Marche con un viaggio avventuroso in carro bestiame; il padre accompagnò moglie e figli presso la madre Aida che viveva a Recanati, già da tempo vedova del marito Antenore, e a sorpresa ripartì subito dopo per Roma.
Ricomparve a Recanati alla vigilia di Natale dello stesso ‘43, e finalmente vi rimase fino al passaggio del fronte. Fu quello anche il periodo in cui s’impegnò nel Comitato di Liberazione Nazionale locale.
Come tutte le famiglie italiane, anche la famiglia Carancini, per sopperire alla carenza di prodotti di prima necessità, si dedicò in attività casalinghe come la produzione di sapone, del burro, ed addirittura del sale, procurandosi acqua marina dalla vicina Porto Recanati. Per procurarsi capi di lana (quell’invero tra il ’43 e il ’44 fu molto rigido), oltre al riciclaggio dei vecchi indumenti, e in alternativa all’impiego della ruvida lana di pecora, tutta la famiglia si dedicò all’allevamento di una trentina di conigli d’angora avuti in regalo dalla principessa recanatese Julia Antici[4], pioniera di tale allevamento, ed impegnata a contenere, per quanto possibile, lo sviluppo drammatico in senso esponenziale delle centinaia di conigli in suo possesso.
L’attività della famiglia relativa all’allevamento dei conigli terminò alla fine di luglio del 1944, quando i Carancini tornarono finalmente a Roma ormai ‘liberata’ da quasi due mesi, rioccupando l’appartamento che già da prima avevano in affitto in via Caroncini 51 (scelto come residenza già dal ’42, in assonanza col cognome Carancini).
Al piano di sotto abitava l’ing. Gino Proclemer, con la figlia Anna, attrice di teatro, ed accanto, sullo stesso pianerottolo, all’interno 3, un capitano della Wehrmacht amico dell’attrice Laura Solari, la quale, a sua volta, occupava l’appartamento sopra i Carancini.
Carlo Lizzani, il minore di tre fratelli e di una sorella (Manlio, il terzogenito era il cognato della moglie di Gaetano Carancini, Maria Paola), in quanto parente acquisito, durante il periodo di permanenza della famiglia Carancini a Recanati, scelse di utilizzare il loro appartamento romano, rimasto nel frattempo disabitato, per svolgere attività clandestina contro i tedeschi. L’edificio, infatti, risultava alquanto sicuro poiché disponeva di un doppio ingresso, quello principale al numero civico 51, e quello retrostante al numero civico 29: dal citofono interno il portiere Ignazio poteva avvisare Carlo Lizzani, che aveva così la possibilità di una via di fuga sul retro dello stabile in caso di perquisizione da parte dei tedeschi, in quel momento padroni di Roma ed ancora di buona parte della penisola.
Nel condominio subito appresso vi era la famiglia Lante Della Rovere, composta da tre fratelli di cui il secondo, Alessandro, da grande sposò Marina Punturieri (condomina dei Lante della Lovere), che divenne così duchessa Lante Della Rovere.
Sempre in via Caroncini, poco più in là, abitava con la prima moglie Roberto Rossellini, che ancor prima della fine della guerra girerà Roma città aperta, la cui lavorazione del film ebbe inizio nel gennaio del ’45, ed andò avanti tra mille difficoltà tecniche e finanziare; film di cui Carlo Lizzani fu accanto a Roberto Rossellini quale aiuto-regista, come ancora tre anni dopo per il successivo film Germania anno zero; in quell’occasione Carlo conobbe la futura moglie, Edith Bieber, detta ‘Ditta’, che gli sopravvisse al suicidio.
In seguito, il giovane Gian Luigi compì i suoi studi (dalla seconda elementare fino alla licenza liceale classica) al S. Gabriele ai Parioli e si iscrisse all’Università a Lettere e Filosofia laureandosi in Preistoria nell’autunno del 1962, con una tesi sul Musteriano pugliese.
Negli anni ’50, il padre Gaetano Carancini fu assunto quale direttore artistico dell’Astra Cinematografica, capitanata dal produttore Gastone Ferranti, assieme al fratello Silvano e alla di loro sorella segretaria di produzione, della cui società inizialmente faceva parte anche il prof. Ezio Gagliardo, che in seguito all’aumento di capitale promosso dai Ferranti, dovette rinunciare alla sua parte di società, da cui fu estromesso: Ezio Gagliardo seppe trovare giovamento da questo contrattempo, per fondare subito dopo la Corona Cinematografica, tra le case più prestigiose nella produzione di cortometraggi.
Gastone Ferranti aveva fondato l’Astra Cinematografica, una società che monopolizzò il documentario negli anni cinquanta, quando a un film, nella cosiddetta programmazione obbligatoria, veniva associato un documentario o un cinegiornale a cui, a seconda dell’incasso, veniva data una percentuale del 2 %. Ferranti per esempio abbinò un documentario a Cleopatra, diventando ricco in brevissimo tempo. Inoltre Gastone Ferranti produsse nel 1963 il controverso documentario sociopolitico, La Rabbia di Pier Paolo Pasolini.
Appassionato dal cinema muto, visto che sin da piccolo il padre Gaetano gli proiettava le comiche comiche e film d’animazione, avendo in casa un proiettore Pathe Baby 9,5 mm e la relativa cinepresa per le riprese di scene familiari, Gian Luigi Carancini fra la fine degli anni ’50 e gli anni ’60 realizzò delle vignette senza balloon, ‘mute’, dal tratto ‘secco’ e raffinato, per il settimanale d’attualità Rotosei diretto da Luciano Doddoli (tra i componenti lo staff: Manlio Maradei, passato poi a L’Espresso, e l’impaginatrice Flaminia Petrucci, futura moglie dello scrittore Enzo Siciliano), e successivamente per La Fiera del Cinema, diretta da Enrico Rossetti per conto del produttore Goffredo Lombardo, padrone della Titanus [la Lombardo Film era diventata la Titanus nel 1928] ereditata dal padre Gustavo nel 1951: per l’occasione, dovendo realizzare disegni di ‘costume’ dedicati al mondo dello spettacolo cinematografico, Carancini cambiò completamente stile, con uno più adeguato alla rappresentazione e alla satira del mondo cinematografico.
“La settimana INCOM”: Gian Luigi Carancini alla INCOM di Sandro Pallavicini
Quando l’Astra Cinematografica fallì, la testata del cinegiornale “Mondo Libero” prodotta dalla Casa fu acquisita dal centro cinematografico e televisivo INCOM diretto da Sandro Pallavicini.
Il padre Gaetano Carancini, finita l’avventura dell’Astra Cinematografica, cominciò a collaborare con la Rai-TV nel 1961, ma solo nella primavera del ’62, quando fu assunto a tempo indeterminato, dovette rinunciare alla collaborazione con la INCOM presso cui scriveva i parlati di “Mondo Libero”, lasciando al figlio Gian Luigi Carancini il posto di compilatore dei testi per quel settimanale cinematografico, divenuto ormai sottoprodotto della Settimana INCOM.
Speaker era un giovane Tito Stagno, che lavorava in RAI, sostituito qualche volta da Riccardo Paladini, che era già andato via dalla Televisione di Stato, e più raramente da Benedetto Nardacci, storico cronista e speaker della Radio Vaticana.
Gian Luigi Carancini cominciò a collaborare con la INCOM nei primi mesi del ’62, ancor prima della laurea, conseguita nell’autunno dello stesso anno con una tesi di paletnologia: ‘L’industria musteriana pugliese’.
Nel 1963 il giornalista Rai Gaetano Carancini fu uno dei soci fondatori del rotocalco giornalistico nazionale di TV7, ma dopo qualche tempo fu rimosso quale redattore dalla sede televisiva di Via Teulada e ‘promosso’ a quella radiofonica in qualità di capo-redattore dei servizi culturali di Via del Babuino:
«Per TV 7 di Enzo Biagi, mio padre (aa. 1962-1964), prima di essere ‘promosso’ (ma di fatto rimosso dalla RAI quale vittima del fenomeno della lottizzazione politica della Tv di Stato, esploso in quegli anni) ai servizi culturali di ‘RAI RADIO 2’, fece, a quanto ricordo, tra l’altro, tre servizi televisivi, quali:
Sulla ‘Bella Otero’ che mio padre scovò ormai anziana sulla Costa Azzurra.
Sull’assassino seriale Landru, riuscendo a scovare il poliziotto che l’aveva arrestato, ed acquistando da lui, per gli Archivi RAI, il libretto di appunti in cui Landru[5] andava segnando, con minuziosa calligrafia e ordine maniacale, l’elenco delle suppellettili ricavate da ognuna delle donne assassinate, e il relativo guadagno ottenuto dalla vendita.
Su Sacco e Vanzetti, i due anarchici condannati innocenti dalla Giustizia americana, dei quali esiste un quadro famoso realizzato da Ben Shan, tratto a sua volta da una loro foto altrettanto famosa scattata nel corso del processo.
Anche in questo caso mio padre riuscì a scovare e ad intervistare l’addetto di ambasciata italiano in America, che aveva seguito in tempo reale le vicende del processo. Costui viveva ormai in pensione al Circeo.
Dopo questo servizio di mio padre, fu realizzato nel 1971 il film sui due anarchici, per la regia di Giuliano Montaldo.
Mio padre, prima di passare a TV 7 di Enzo Biagi, aveva tenuto a battesimo nel 1961 Pippo Baudo come conduttore della rubrica ‘Guida per gli emigranti’[6]; trasmissione della quale mio padre curava l’allestimento della parte giornalistica. Pippo Baudo, alternandosi con la Piccinino, ne era il diligente presentatore», ebbe a scrivermi recentemente Gian Luigi Carancini[7].
All’epoca il direttore della Settimana INCOM, lo storico e critico cinematografico Fernaldo Di Giammatteo, incaricò Gian Luigi Carancini di realizzare un servizio sul mercato delle pulci di Porta Portese e due numeri unici: sui ladri d’auto (‘Dieci al giorno le ritrovano tutte’), e sul mercato dell’arte (‘Quadri come frigoriferi’).
All’epoca il mercatino domenicale cominciava il sabato sera. Girando con la troupe fino alla mattina della domenica, Carancini vi incontrò la caporeparto colore della INCOM Elena Boccato, una ragazza veneta che passeggiava in compagnia del fidanzato Francesco Guido: costui si prestò a farsi riprendere e a rispondere all’intervista, tanto che Gibba comparve in quel primo servizio cinegiornalistico della Settimana INCOM (1962).
Un aneddoto ricordato da Carancini è che aspettava che la signorina Boccato si sposasse finalmente con Gibba, in quanto il cartoonist recanatese sperava che gli lasciasse l’appartamento in affitto dalle parti Campo de’ Fiori.
I “Siparietti” animati dell'”Oroscopo” INCOM per “Almanacco del giorno dopo” della Rai
Sempre alla INCOM, Sandro Pallavicini commissionò al giovane Gian Luigi Carancini, allora nel dipartimento giornalistico del Cinegiornale INCOM, 30 parodie di siparietti animati con l”Oroscopo del giorno” della durata di 2 minuti cadauno da trasmettere prima del Telegiornale Nazionale, che realizzò con l’utilizzazione di illustrazioni ottocentesche per la rubrica Rai, Almanacco del giorno dopo. Carancini creava le idee e le mandava al reparto animazione. Per quella occasione, sfogliando un libro di illustrazioni ottocentesche da cui fotocopiare e ritagliare le icone per l’Oroscopo, rimase però colpito da una serie di mani di varie dimensioni con l’indice puntato, che lo stesso Carancini fotocopiò e tagliò per improvvisare sulla sua scrivania una sorta di crescente contrapposizione, in un’escalation della violenza che finiva con l’esplosione di una bomba atomica al centro della scena; scena che terminava con la riconciliazione tra le due simboleggianti superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica, le quali, consce delle catastrofe nucleare sancivano la pace stringendosi la mano. Era un’evidente metafora visiva della Guerra Atomica, che Carancini trascrisse in forma di soggetto e sceneggiatura da sottoporre alla INCOM.
“L’onesto Giovanni”: al reparto sperimentale di film d’animazione INCOM di Osvaldo Piccardo
Nell’autunno del 1962, Gian Luigi Carancini, irresistibilmente attratto dal mondo dei cartoon, osò avvicinarsi al reparto animazione della INCOM, dove conobbe il Pioniere di Monte Olimpino Osvaldo Piccardo, che ebbe il merito di apprezzarlo da subito; con Piccardo Carancini andò, come inviato per il quotidiano La Voce Repubblicana, alla prima edizione del Festival dell’Animazione di Rimini, dove conobbe l’industriale Umberto Bozzetto, padre di Bruno Bozzetto, l’illustratore francese Raymond Peynet, e l’animatore austroungarico naturalizzato cecoslovacco Jiří Brdečka[8].
Carancini ricordava che, «Nel 1962 mi recai con Piccardo alla prima ‘Mostra Internazionale del Film d’Animazione’ di Rimini come inviato del quotidiano La Voce Repubblicana, dove lavoravo come vice-cinematografico di mio padre Gaetano. Sulla rassegna scrissi un lungo articolo in cui mettevo a confronto la tradizione disneyana con quella contemporanea, percorsa da spirito iconoclasta nei confronti della prima, giudicata troppo sdolcinata. A Rimini ricordo di aver conosciuto, tra gli altri, il padre di Bruno Bozzetto e Raymond Peynet, identico al personaggio maschile della serie degli innamorati da lui disegnata per anni.
Quanto a Jiří Brdečka, dopo averne visionato il ritratto si Internet, sono certo che è lui il personaggio fattomi conoscere da Piccardo nel ’62-’63 a Roma: la logica mi dice che è questo incontro in Italia con Brdečka alla INCOM che mi consentì nel ’66, quando andai per il Convegno Internazionale di Preistoria e Protostoria a Praga, di visitare l’Istituto Statale di Animazione»[9].
Osvaldo Piccardo[10], di cui accennammo un decennio addietro nell’articolo biografico sul Pioniere di Monte Olimpino, all’epoca venne nominato da Sandro Pallavicini alla INCOM quale direttore del reparto animazione di ricerca sperimentale, oltre che della programmazione e della realizzazione delle piccole sigle per la Rai-TV dei vari Intermezzo, Arcobaleno e Tic-Tac, e Carosello da realizzare con la cadenza di uno a settimana per la Gamma Film dei fratelli Roberto e Gino Gavioli.
La INCOM di Roma era all’interno di un grande comprensorio, un parco con dei pini con distaccati i vari fabbricati, quali: sviluppo e stampa, sonorizzazione, mensa, amministrazione con a capo l’allora dirigente dott. Alberto Chimenz, titoli e truka capitanato dal veterano Joseph Nathanson, dislocati e adiacenti ad una costruzione in legno dove venne istituito il reparto d’animazione sperimentale di Osvaldo Piccardo.
Nella sede romana della INCOM erano attivi, interni e esterni, come collaboratori: l’aiuto regista e capoanimatore Vittorio Sedini, un illustratore milanese che Piccardo si era portato da Milano, conoscendolo sin da bambino, per la produzione a Roma della Gamma Film; a cui si aggiunsero, Guido Gomas (Luigi Guido Gonzo), che in seguito approdò alla Corona Cinematografica lavorando in coppia con Manfredo Manfredi, Lionello “Lello” Fantasia, Alfonso Mulà e Gian Luigi Carancini, i quali svolgevano attività creative che andavano dalla sceneggiatura allo storyboard, all’animazione, ai titoli al montaggio; tra gli animatori e scompositori, i validissimi fratelli Sergio e Sandro Costa, Paolo Di Girolamo, Giorgio Michelini, Francesco Valeriani e Franco Cristofani; l’operatore alla Verticale Cinematografica era Cesare Sargenti; completavano il reparto animazione le lucidatrici e coloritrici: la capocoloritrice era Elena Boccato, futura moglie del pioniere del cartoon italiano Francesco Maurizio Guido in arte Gibba.
Sempre Osvaldo Piccardo, dietro autorizzazione di Pallavicini, impiegò il centro INCOM per la realizzazione di corti e mediometraggi animati da lui firmati, affidando l’impronta a questi creativi, quali:
Gigetto Carogna e il capostazione (1962) – Marcello Piccardo
Gigetto Carogna e il capostazione – un mediometraggio animato sotto la supervisione di Osvaldo Piccardo al quale diede un contributo decisivo per la regia, i characters e le scenografie il fratello Marcello Piccardo, già qualche anno prima a Torino tra i consulenti dei primi programmi per l’infanzia della neonata Rai-TV.
Il mediometraggio fu realizzato dall’ufficio tecnico diretto dal capoanimatore Vittorio Sedini, assieme al giovane Alfonso Mulà. Alle animazioni collaborarono anche Guido Gomas e i fratelli Sergio e Sandro Costa. L’animazione dei titoli era di Lello Fantasia. Le intercalazioni di Pino Borghini e Gabriele Gentile:
«Gigetto Carogna e il capostazione (1962), realizzato sempre nella sede romana della INCOM, è incentrato sugli antagonismi già presenti in Ulisse e l’Ombra. Al posto del piccolo signore con i baffi e paglietta vi è un simpatico capostazione dalla forma a barilotto, che non si trova di fronte alla sua ombra ma ad un cattivo spiritello. Anche qui il vero protagonista del cartoon è il vispo diavoletto che fa di tutto per far perdere la pazienza al capostazione. Notevoli i binari su fondo neutro e delineati da grandi linee curve decise che ricordano fortemente lo stile liberale di Marcello Piccardo; al contrario vennero eseguite dallo scenografo della INCOM, Alfonso Mulà che era rimasto affascinato dalle illustrazioni del libro pubblicato da Einaudi, La balena Giona realizzate da Marcello Piccardo, appunto, tanto che decise di adottarne lo stile»[11].
L’onesto Giovanni (1963) – Gian Luigi Carancini
L’onesto Giovanni – una realizzazione di Osvaldo Piccardo su soggetto e sceneggiatura di Gian Luigi Carancini, animazione di Vittorio Sedini e fotografia di Cesare Sargenti:
«L’onesto Giovanni (1963), un film interessantissimo un po’ autobiografico (Piccardo si chiama anche Giovanni) e dedicato a un grande rappresentante della Pace: Giovanni XXIII; un omaggio alla pace e non alla guerra ma ad una pace mediatica, meditata, calibrata, diplomatica. […]
Un film in onore al primo missile lanciato dagli americani, “Honest John”, con alla base ritmo, puro ritmo. Straordinario dal punto di vista compositivo: non pupazzi come protagonisti ma mani; mani grandi, mani che indicano, mani di diverse dimensioni disegnate a tratteggio a mo’ di stampe ottocentesche: I vuoti, le attese, gli scatti che seguono a movimenti guardinghi, i dispettucci bambineschi, le rivincite e i diversivi impotenti e la prudenza carica di tensione, le scaramucce insensate e un penetrante fissarsi negli occhi come a prevedere e anticipare le mosse dell’ altro. E da ultimo la grandiosità incalzante della contesa, il duello finale, la resa dei conti, delle due manone improvvisamente troppo grandi, immense, che non rispettano più il progredire costante e prevedibile della misura delle manine che le hanno precedute, aveva osservato Eva Piccardo.
Suono e immagini mai l’un l’altro pleonastici ma carichi di una raffinata e costante suspense in un crescendo apocalittico di grande effetto»[12].
L’asfodelo (1964) – Lello Fantasia
L’asfodelo – Osvaldo Piccardo ha realizzato con l’idea e i disegni di Lello Fantasia, la tecnica di Vittorio Sedini, i suoni di Alfonso Mulà e la fotografia di Cesare Sargenti:
«L’asfodelo (1964). Piccardo si accorse delle ottime qualità di Lello Fantasia affidandogli le animazioni dell’omino squadrato dalla testa tondeggiante protagonista del film. Il segno qui ha carattere proprio giocando fortemente sulla modulazione; non vi sono particolari: il personaggio è di fattura primitiva, come scolpito ma trasparente, definito da un segno talvolta sottile fino ad esser nutrito di inchiostro su fondi neutri che talvolta aggettano una luce cromatica accendendo il viso del timido omino»[13].
Carancini, riguardo a L’onesto Giovanni mi scrisse, «La scoperta del libro con il repertorio di illustrazioni ottocentesche e il loro utilizzo da parte degli animatori della INCOM per la realizzazione dei miei oroscopi (non ricordo se 20, 25 o 30) aprirono la strada alla soluzione grafica e narrativa da me adottata poi per ‘L’onesto Giovanni’ (vedi Allegato a questa e mail). L’altro stimolo, come forse le ho già accennato in precedenza, arrivò dalla visione del film d’animazione, ma con attori umani, di Norman McLaren, ‘Neighbours’, fatto proiettare da Piccardo nella saletta della INCOM insieme ad altri dello stesso autore. Il film racconta la storia di due vicini di casa, che arrivano ad uccidersi l’un l’altro per la contesa di un fiore nato al confine tra i rispettivi giardini (alla fine sulle loro bare ricrescerà il fiore conteso!); evidentemente il ritmo narrativo impresso dall’autore alla vicenda m’ispirò il ‘crescendo’ della lotta delle mani sempre più grandi; però nel mio corto risultava un racconto che manteneva volutamente un tono gioioso ed ironico, rotto improvvisamente solo alla fine dalla ‘sorprendente’ (almeno nelle mie intenzioni) apparizione del fungo atomico, rovesciando di colpo l’apparente gratuità dei bisticci tra le mani in una metafora di qualcosa di molto attuale e ‘drammatico’. Ritengo, inoltre, che in qualche modo il fiore protagonista di ‘Neighbours’ abbia anche ispirato a Lello Fantasia ‘L’asfodelo’.
Ad ogni buon conto il corto di McLaren è visionabile su You Tube insieme ad altri capolavori di quell’autore, compresi quelli famosi astratti musicali, e all’esilarante ‘corto’ che narra di una sedia che non vuol essere ‘seduta’ da un uomo, che finirà invece per essere corteggiato, ‘sedotto’ e ‘riconquistato’ dalla sedia ‘ribelle’ e ‘scontrosa’ della prima parte della vicenda: il filmino si conclude con una sorta di “e vissero insieme felici e contenti”). G.L.C.»[14].
Pubblichiamo in testa e in coda a questa successiva riproposizione delle missive di Carancini a Cartùn la copertina e la pagina del celebre volume americano di Clarence P. Hornung, Handbook of Early Advertising Art, da cui vennero tratte le varie “mani” protagoniste del cortometraggio d’animazione INCOM, L’onesto Giovanni.[15]
“L’onesto Giovanni”: una regia rivendicata
da Gian Luigi Carancini
Abbiamo ritrovato, grazie all’interessamento del regista e documentarista Umberto Baccolo, un articolo-intervista[16] al sottoscritto a cura di Roberto Rippa e Alessio Galbiati, pubblicato sul magazine di cultura cinematografica della Svizzera Italiana, alla fine del quale compariva una simpatica e gradita missiva del prof. Gian Luigi Carancini.
Sempre Gian Luigi Carancini in seguito mandò il ‘messaggio in bottiglia’ alla Fondazione Franco Fossati a Milano, la quale, la inviò all’Associazione Cartùn di Genova dello Storico del Cinema d’Animazione di fama internazionale Giannalberto Bendazzi.
Infine, sempre in internet, Giannalberto Bendazzi, ha recentemente pubblicato l’interessante lettera di Gian Luigi Carancini su L’onesto Giovanni suddivisa in tre parti nella sezione Lettere a Cartùn.
Ripubblichiamo i tre post ma integralmente ripresi dall’originale eccetto il ‘breve riassunto autobiografico’, apparsi dopo un editing puramente tecnico rispettivamente il 31 ottobre e 2 novembre 2017, allo scopo di una chiara e definitiva documentazione su L’onesto Giovanni:
LETTERE A CARTÙN
“L’onesto Giovanni”: una regia rivendicata
Riceviamo dal professor Gian Luigi Carancini un messaggio che farà la gioia e/o le polemiche dei pochi ma buoni che si occupano di storia dell’animazione italiana. Lo riportiamo qui, dopo un editing puramente tecnico.
Giannalberto Bendazzi
PARTE PRIMA
Il presente appello riguarda la rivendicazione della paternità del cortometraggio di animazione “L’onesto Giovanni”, attribuito erroneamente da diversi autori (cfr., su Internet, “Diavolo di un Piccardo, Osvaldo Piccardo il Pioniere di Monte Olimpino” di Mario Verger) a Osvaldo Piccardo, e la cui realizzazione risale al lontano anno 1963 (non ‘1961’, o ‘1962’, come riportato in vari testi), presso il reparto d’animazione della INCOM, sito in Roma. Come verrà precisato qui di seguito, soggetto, sceneggiatura e regia sono invece del sottoscritto.
Pur non avendo mai fatto parte dello staff di animatori del reparto di animazione (a quel tempo svolgevo attività giornalistica presso il Cinegiornale, prodotto principale della INCOM), ne sono stato un collaboratore esterno, in occasione della vendita di 30 gag per alcuni siparietti serali d’animazione appaltati dalla RAI al reparto animazione della INCOM. In questi brevi siparietti apparivano finti oroscopi (“Oroscopo di domani”, o qualcosa del genere).
[Feci uso di] un libro contenente immagini ottocentesche e mi colpì il copioso repertorio di mani con l’indice puntato riportate nel volume: un’icona d’indicazione direzionale. Ricordo di averne fotocopiate alcune di varie grandezze, di averle ritagliate e di averle mosse sulla mia scrivania di casa abbozzando una storia di crescente litigiosità tra mani di grandezza via via maggiore, fino all’apparizione di due mani enormi contrapposte, che finivano per provocare una crepa nella parete che mostrava lo scoppio della bomba atomica al centro della scena fissa. Questa si concludeva con la riconciliazione forzata tra le due mani (evidentemente, Stati Uniti e Unione Sovietica), che, consce delle catastrofiche conseguenze di un’escalation della violenza, sancivano la pace stringendosi la mano. Era un’evidente metafora visiva della Guerra fredda, che trascrissi in forma di soggetto e annessa sceneggiatura da proporre alla INCOM.
LETTERE A CARTÙN
“L’onesto Giovanni”: una regia rivendicata
Riceviamo dal professor Gian Luigi Carancini un messaggio che farà la gioia e/o le polemiche dei pochi ma buoni che si occupano di storia dell’animazione italiana. Lo riportiamo qui, dopo un editing puramente tecnico.
Giannalberto Bendazzi
PARTE SECONDA
Ricordo che, all’atto della presentazione della storia a tutto lo staff, espressi il desiderio di finire il film con una nota pessimistica, cioè con un secondo finale a sorpresa: un’esplosione di una seconda bomba atomica di color giallo (cinese), che mandava all’aria l’idillio della stretta di mano tra America e Unione Sovietica. Osvaldo Piccardo suggerì, tuttavia, di far prevalere un finale con un messaggio ottimistico, di pace.
Piccardo ebbe il merito di presentare il mio progetto alla direzione, che l’approvò. Nel contratto da me stipulato con la INCOM fu convenuta l’accettazione da parte dell’azienda del mio soggetto e l’obbligo da parte mia di “seguirne le riprese”, in altre parole di assumerne la regia (mi sembra di ricordare che il tutto venne pagato 50.000 lire). Di fatto ne sortì una regia a quattro mani tra Vittorio Sedini, il capoanimatore, e il sottoscritto.
Fui quindi grandemente sorpreso alla fine nel vedere nei titoli di testa l’attribuzione del film a Osvaldo Piccardo, con un drastico ridimensionamento del mio ruolo a semplice soggettista e sceneggiatore della storia, e il ruolo di Sedini a solo autore delle musiche.
2) Quanto al titolo, “L’onesto Giovanni”, esso fu da me scelto per la sua ambiguità, in quanto riferibile sia al missile americano con testata atomica “Honest John”, sia come onore al “papa buono” Giovanni XXIII.
3) La data della realizzazione del cortometraggio [non è il 1961]. La ratifica del mio contratto avvenne nella tarda primavera del 1963, e la sua messa in lavorazione subito dopo, nel giugno-luglio dello stesso anno (a settembre-ottobre fu missato e stampato).
4) Il film fu realizzato con riproduzioni di disegni d’antan di mani con l’indice puntato, incollate su un lamierino sottile per garantire una maggiore consistenza ai disegni, e ritagliate magistralmente dai fratelli Costa mediante un seghetto per il traforo del metallo. Le sagome così ottenute venivano mosse da Vittorio Sedini sullo sfondo rappresentato da una carta da parati di fine Ottocento. Ricordo che le difficoltà incontrate nel lavoro di animazione erano costituite sia dal pericolo – sempre in agguato durante la bella stagione – che qualche mosca si introducesse nell’inquadratura, sia dall’inconveniente di dover sospendere le nostre riprese per lasciar posto ad altre della normale produzione commerciale. L’espediente da noi adottato fu quello di far coincidere ogni volta le interruzioni forzate delle nostre riprese con i “mossi” opportunamente previsti dalla vicenda, che venivano in questo modo a occultare sia la sospensione sia il riavvio del nostro lavoro di animazione (unico vero animatore, da un punto tecnico, fu Vittorio Sedini).
5) Ricordo, infine, che ci fu qualche dubbio da parte mia se sonorizzare il cortometraggio, o riservare il sonoro soltanto all’esplosione finale. L’idea che tutto avvenisse nel più completo silenzio, squarciato all’improvviso dall’esplosione della bomba atomica, a me piaceva molto. Prevalse, forse a ragione, il parere di dare voce ai personaggi mediante rumori che sottolineassero via via le reazioni visive delle varie mani. I rumori furono fatti da Vittorio Sedini assieme al breve conclusivo commento musicale (un motivo strimpellato da un pianoforte un po’ scordato fornitoci dai responsabili della sala d’incisione). Erano molto azzeccati, visto il risultato finale.
LETTERE A CARTÙN
“L’onesto Giovanni”: una regia rivendicata
Riceviamo dal professor Gian Luigi Carancini un messaggio che farà la gioia e/o le polemiche dei pochi ma buoni che si occupano di storia dell’animazione italiana. Lo riportiamo qui, dopo un editing puramente tecnico.
Giannalberto Bendazzi
PARTE TERZA
Fu grande naturalmente la mia delusione quando nei titoli di testa comparve il nome di Piccardo quale autore del film (equivoco che, a quanto pare, sembra perdurare ancora oggi, grazie anche alle frequenti esternazioni autobiografiche di Piccardo riguardo alla realizzazione de “L’onesto Giovanni”).
Alle mie flebili rimostranze Piccardo rispose che, come alla Disney, tutte le produzioni del reparto animazione – in base al contratto da lui stipulato con la INCOM al momento della sua assunzione – dovevano indicare la sua paternità.
Lo stesso trattamento fu riservato a Lello Fantasia per il suo breve film “L’asfodelo”, realizzato alla INCOM in quel medesimo periodo, portato da Osvaldo Piccardo, assieme al mio ‘L’onesto Giovanni’ a vari festival internazionali.
Di seguito riporto alcune parti del testo speditomi a suo tempo da Vittorio Sedini a corollario di queste mie precisazioni.
VITTORIO SEDINI:
Piccardo non era caporeparto, ma direttore del reparto sperimentale di film d’animazione della INCOM. Reparto creato apposta per accogliere lui con il suo aiutoregista Vittorio Sedini, che non è pertanto cacciabile nel gruppo degli animatori.
Guido Gomas e Lello Fantasia non erano animatori, ma svolgevano attività creative che andavano dalla sceneggiatura allo storyboard. Ci si trovava spesso in brain storming molto produttivi ai quali partecipò a suo tempo Gian Luigi Carancini con la sua ben nota genialità.
Non ricordo che nel cortometraggio “L’onesto Giovanni” ci fosse musica – forse solo una frasetta nel finale eseguita con un improbabile chitarrino giocattolo. [Di Vittorio Sedini] sono invece le vocette dei contendenti e gli effetti sonori, come la ripresa e il montaggio e, solo in questa produzione, l’animazione. Si chiamasse o no Giovanni, il film non ha nulla di autobiografico e non è di Piccardo.
[…]
Gian Luigi Carancini
“Tantrum” di Gian Luigi Carancini e Alfonso Mulà: alla CORONA di Ezio Gagliardo
Gian Luigi Carancini ricordava che con Alfonso Mulà si conobbero alla INCOM ed era uno dei più vivaci; il più “ortodosso” invece era Vittorio Sedini; mentre Lello Fantasia era pieno di “fantasia”, come dice il nome; Sergio Costa era un ottimo disegnatore e costruiva anche treni in scala H0, tanto che il famoso baritono Gino Bechi si comprò da lui modelli unici di locomotive, mentre il fratello più piccolo Alessandro detto Sandro, era anch’egli un ottimo disegnatore di materiale bellico: entrambi erano, inoltre, degli ottimi aeromodellisti. I fratelli Costa, inoltre, disegnavano fumetti di guerra per la Collana Eroica.
Piccardo abitava con la famiglia in una villetta monofamiliare con giardinetto intorno al quartiere residenziale Talenti non lontano dalla INCOM. Le riunioni informali per la realizzazione dell’Apocalisse di Piccardo si tenevano spesso la sera alla residenza romana del Pioniere di Monte Olimpino; riunioni alle quali partecipavano Carancini, Sedini Fantasia, Mulà e Gomas. Ma, come già specificato altrove[17], con il mancato contratto con la Walt Disney Productions e dopo un tentativo di “golpe” da parte dell’equipe nei confronti di Piccardo, nel 1964 il reparto animazione INCOM chiuse definitivamente i battenti…
Carancini mi raccontò che «Guido Gomas, anch’egli transfuga dal reparto animazione ormai chiuso, realizzò per la Corona Cinematografica un corto intitolato, mi sembra, “L’apocalisse”, da un’idea ‘rubata’ letteralmente a Piccardo, che già al tempo della INCOM, riuniva qualche volta a casa sua Sedini, Fantasia, Gomas, i fratelli Costa, e me, per lavorare al progetto che voleva realizzare appunto sull’Apocalisse. Con una buona dose di ‘follia’ Piccardo sosteneva che l’Apocalisse si fosse ormai verificata, anzi, che fosse in atto nel mondo attuale, e lui fosse il nuovo Gesù Cristo venuto a salvarci!».
Dopo che la INCOM chiuse, in quanto la Settimana INCOM non interessava più come cronaca di attualità in seguito al consolidarsi dell’informazione in tempo reale offerta dal servizio televisivo, l’intera produzione di animazione venne acquisita dall’Istituto Nazionale Luce.
Uscito dalla INCOM, Gian Luigi Carancini conobbe il famoso umorista Pino Zac, tramite Manlio Maradei, quando il giornalista, da Rotosei, si era trasferito al settimanale Italia domani, per approdare infine alla redazione de L’Espresso.
Pino Zac, grande estimatore di Roland Searle, gli raccontò che aveva imparato a disegnare da Francescangelo Ciarletta, anch’egli aquilano e docente di disegno libero alla Facoltà di Architettura a Valle Giulia, fratello del critico d’arte Nicola Ciarletta.
Carancini andava a trovare spesso Zac, che in quel periodo abitata all’ultimo piano di un palazzetto di via Frattina, ed era allora legato sentimentalmente a Giancarla Raiconi. Solo poco più tardi il poliedrico disegnatore, umorista e regista, si trasferì nei pressi di San Pietro, in coincidenza con il Concilio Vaticano II.
Zac suggerì a Carancini di realizzare delle vignette per comporre diversi libretti satirici illustrati unitari, creando, fra l’altro, il personaggio di Dracula e i Vampiri (il libretto non fu mai pubblicato ma molte delle vignette apparvero nella rubrica d’attualità sul mondo cinematografico della rivista La Fiera del Cinema diretta da Enrico Rossetti).
Nel 1964 Pino Zac presentò Gian Luigi Carancini al produttore Ezio Gagliardo mostrandogli in moviola una copia 16 mm de L’onesto Giovanni; il produttore, apprezzando il giovane creativo, gli chiese un soggetto da realizzare per la Corona Cinematografica. Carancini presentò come idea Tantrum, portandosi assieme il collega Alfonso Mulà, anch’egli “a spasso” dopo la chiusura del reparto animazione del centro INCOM.
Carancini e la di lui sorella erano amici d’infanzia dello scultore e pittore Claudio Cintoli[18], avendo ascendenze comuni recanatesi.
Cintoli era fidanzato all’epoca con la figlia di un pittore proto-pop, una ragazza americana di nome Gil, con la quale andò successivamente in America; allora abitava a piazza di Pietra in un appartamento in affitto dello scultore Assen Peikov, lo scultore bulgaro autore della statua bronzea di Leonardo da Vinci all’aeroporto di Fiumicino e del lungo frontone della stazione Termini.
Gian Luigi Carancini presentò a Ezio Gagliardo Claudio Cintoli[19] mentre stava preparando Tantrum con Mulà, il quale smise di interessarsene per aiutare Cintoli a realizzare il suo primo documentario per la Corona.
Sia in Tantrum sia nei cortometraggi di Cintoli Alfonso Mulà realizzò l’animazione sotto la Verticale Cinematografica, nonostante risulti per la Fotografia accreditato il nome del fratello più piccolo del produttore, Elio Gagliardo.
Claudio Cintoli portò alla Corona Francesco “Cicci” Santucci, un jazzista che in seguito ad un concorso venne assunto nell’orchestra della Rai, il quale collaborò alla colonna musicale del primo film dell’artista, intitolato, Mezzo sogno e mezzo (1964). Al primo, nello stesso anno seguì il secondo cortometraggio, Più (1964) con musiche di Sandro Brugnolini, a cui seguì qualche anno dopo anche il terzo, sempre con musiche di Francesco Santucci, Primavera nascosta (1969); film d’animazione ai quali collaborò anche per il montaggio Mulà.
Alfonso Mulà si occupò anche delle musiche di Tantrum, realizzando la colonna musicale elettronica dal forte impatto uditivo, a sostegno sonoro dei disegni su rhodoid realizzati con le mascherine ritagliate fatte a stencil: disegni alternati a fotogrammi neri o bianchi, incalzati dal ritmo impresso dagli effetti elettronici, (tuttavia, nei titoli finali risulta il nome di Alberico Vitalini, per permettere l’incasso dei diritti musicali da parte di uno dei musicisti della Corona).
Alfonso Mulà si divideva tra il lavoro di Tantrum e il cortometraggio di Cintoli, ma anche partecipando nel 1965 ai pannelli del Piper Club, di cui era appunto autore Cintoli.
Alfonso Mulà si specializzò come montatore facendo anche il montaggio nel 1968 del film Execution, una coproduzione italo-israelita per la regia di Paolo Dominici (Domenico Paolella) con la sceneggiatura di vecchie conoscenze della Corona, quali, Domenico Paolella, Giancarlo Zagni, Fernando Franchi, e interpretato da John Richardson, Mimmo Palmara dietro lo pseudonimo di Dick Palmer, e Néstor Garay, con le musiche di Lallo Gori.
Sempre Alfonso Mulà fece il montaggio per il film prodotto dall’Istituto Luce nel 1970, Firenze una tradizione che continua, per la regia di Valentino Orsini.
Alfonso Mulà, siciliano, si era trasferito a Roma. In quegli anni, egli era amico di Andrea Scirè, figlio di Junio Valerio Borghese, che scelse lo pseudonimo in onore al padre, quando nel 1940, promosso capitano di corvetta, divenne comandante del sommergibile Scirè della Xª MAS, sotto l’Ammiraglio di Squadra Raffaele de Courten, allora Ministro e Capo di Stato Maggiore della Marina.
Andrea Scirè, che aveva partecipato assieme a Geronimo Meynier alla pellicola, Amici per la pelle (1955), aveva un ‘giro’ di amiche australiane. All’epoca Mula’ era fidanzato con una svedese, ma in seguito a questa passione per le australiane nel 1973 si trasferì con una di loro a Sidney dove venne assunto a un’Accademia, incaricato della cattedra di tecniche di animazione, e di lui si persero definitivamente le tracce, essendo forse emigrato definitivamente in Australia.
Tantrum (1964) di Gian Luigi Carancini e Alfonso Mulà
In internet, sul sito filmarchives online – Finding Moving Images in European Collections[20], vi è una scheda online riguardante il film Tantrum diretto da Gian Luigi Carancini e Alfonso Mulà prodotto dalla Corona Cinematografica. Inoltre, nel registro generale della Corona Cinematografica, riguardo Tantrum di G. L. Carancini e A. Mulà, documentario in animazione contrassegnato dal n° 32, vi era una synopsys anche in lingua francese e un’altra più dettagliata inglese che accludiamo:
Tantrum [Original Title]
Tantrum [Release Title]
Country of Origin: Italy
Year of origin: 1964
Genre: Animation
Locations of shooting: n/a
Credits
Production company: Corona Cinematografica
Story: Guido Gomas
Screenplay: Guido Gomas
Music: Alberico Vitalini
Director: Gian Luigi Carancini & Alfonso Mulà
Director of photography: Elio Gagliardo
Content:
italian
Un bambino, che si rifiuta di venire al mondo, viene costretto a nascere. I genitori vorrebbero educarlo come gli altri figli, ma egli si sottrae all’addestramento, rifugiandosi periodicamente presso un gatto verde. Alla fine genitori e fratelli, di fronte alla sua ostinazione, si sollevano compatti contro di lui ed eliminano il gatto verde. Il bambino, sentendosi ormai solo, fugge dalla famiglia. Una bambina piangente lo distrae dal suo dolore per la perdita del gatto. Il bambino si avvicina a lei miagolando: entrambi si trasformano in due gatti verdi e si allontanano danzando.
french
Un enfant qui se réfuse de venir au monde, est forcé à naître. Les parents voudraient l’elever comme les autre fils mais il se soustrait à l’instruction en se réfugiant auprés d’un chat vert. A la fin, parents et frères, devant son obstination, se soulèvent compactes contre lui et éliminent le chat vert. L’enfant, etant deshormais seul, fuit de la fameille. Une petite fille qui pleure le distrait de la douleur pour la perte du chat. l’enfant s’approche d’elle en miaulant: tous les deux se transformant en deux en chats verts et séloignent en dancant.
english
A baby who refuses to be born is forced to do so. His parents would like to bring him up like the other children, but he escapes from training and changes into a green cat that dances away.
english
A baby who refuses to come to earth, is compelled to be born. Parents would him educated as other sons but he conceals himself from training and periodically takes refuge near a green cat. At the end, parents and brothers, in front of his obstinacy, raise compact against him and eliminate the green cat. Then the little boy, feeling alone, escape from his fanmily. A little girl weeping diverts him from his pain for the cat’s loss. The little boy approaches her mewing: both are transformed into two green cats and go away dancing.
Version 1
Language: ita
Colour: Colour Sound: Sound film
Format: 35 mm Aspect: 1:1,37
Original Length: 255 m Duration: 9′
Complete Film
Length 255 m
Copy Type Positive
Base Acetate
Copyright Information Cineteca di Bologna
License Information Film can be licensed
Lettera di Gian Luigi Carancini alla Cineteca di Bologna su “Tantrum”
Il prof. Gian Luigi Carancini ha recentemente scritto in relazione al cortometraggio “Tantrum” una lettera alla Cineteca di Bologna[21], la quale riportiamo integralmente:
Spettabile Direzione della Cineteca di Bologna,
Ho appreso, nel consultare il sito della Cineteca su Internet, che risulta essere stato da voi acquisito il fondo “Progetto Corona Cinematografica”, società di produzione a suo tempo specializzata soprattutto in cortometraggi, tra i quali molti d’animazione.
A suo tempo (a. 1964) realizzai per la Corona (allora diretta da Ezio Gagliardo), il cortometraggio “Tantrum”, praticamente un lavoro a quattro mani con Alfonso Mulà, conosciuto al reparto animazione della INCOM: la storia, molto esile per quanto riguarda il racconto (l’incapacità di un bambino d’inserirsi nell’educazione standardizzata di una famiglia borghese), era soprattutto incentrata sugli effetti di ripresa: inserimento di fotogrammi neri, pause di vuoti bianchi, ecc., un sonoro, autore lo stesso Mulà, ottenuto con un collage di suoni elettronici assai inquietanti (già anticipati dallo stesso Mulà nel commento sonoro de “L’asfodelo” di Lello Fantasia, prodotto presso la stessa INCOM; ma l’aggiunta di una musichetta finale permise l’attribuzione di tutto il commento sonoro ad altro autore, Alberico Vitalini, iscritto alla SIAE); tutti gli effetti, visivi e sonori, miravano ad attribuire al filmato una fisicità in grado di provocare nello spettatore una reale molestia visiva, e non solo.
Il titolo, “Tantrum”, fa riferimento alle “Finnegans Wake” di James Joyce.
Io, oltre che co/regista, ero l’autore del soggetto e della sceneggiatura [ma in una scheda, tratta da “Filmarchives ONLINE, risulta inspiegabilmente il nome di Guido Gomas (???), che con il nostro cortometraggio non a nulla da spartire!], mentre Alfonso Mulà, oltre all’accennata colonna sonora nella parte elettronica, curò anche la realizzazione dei trasparenti disegnati a stencil, e il laborioso montaggio, composto – come accennato più sopra – con l’inserimento di fotogrammi bianchi e neri, allo scopo di dare in filigrana un ritmo diverso, in contrappunto, rispetto al racconto che via via si dipanava attraverso i personaggi disegnati sul classico acetato.
Sono a sua disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti che si dovessero rivelare necessari.
Un’ultima preghiera: sarei molto grato se mi si volesse dare un segno dell’arrivo di questo messaggio e se qualcuno si potesse impegnare a correggere la scheda su Internet
Grazie e cordialità.
Gian Luigi Carancini
“L’onesto Giovanni” di Osvaldo “Giovanni” Virgineo Piccardo o di “Giovanni” Luigi Carancini?
Ho qui una missiva inviata da Vittorio Sedini a Gian Luigi Carancini, dopo che entrambi avevano letto la mia biografia sul Pioniere di Monte Olimpino: «Una cosa sola: Piccardo cambiava ogni tanto – a misura delle sue scoperte del “sé” – il suo nome. Una delle formulazioni che io conobbi fu Giovanni Virgineo Piccardo. La cosa non pertinente ma interessante è che quando lo andai a trovare una volta tornati in patria (la Padania?) parlandomi di un libro che aveva da poco terminato, “Il Vangelo di Satana” mi rivelò di essere la reincarnazione di san Giovanni evangelista. Aggiunse che dovevo prendermi le mie responsabilità conseguenti questa rivelazione. Non me le presi e mal me ne incoglierà, a meno che non mi metta sotto la protezione di qualche altro santo in concorrenza col suddetto. Oggi c’è una discreta scelta, e ci sono anche sconti vantaggiosi.
Questo però non giustifica lo scippo delle paternità delle opere dell’ingegno, così frequenti e odiose in questa nostra italietta di furbacchioni. Anzi è una prassi arrogante e indiscutibile di Editori, produttori ed altri lestofanti. Ti potrei portare alcuni esempi, ma veniamo al buon Verger. […]
Che ci vuoi fare, onesto Gian, i direttori devono sempre mettere il loro nome da qualche parte, e più in alto lo mettono, meglio è…per loro.
Lavorare con Piccardo è stata comunque una formidabile esperienza, per tutti noi, ma specialmente per me che fui suo allievo già dal 1958 a Milano.
Lo ricordo come mio maestro e uomo di notevole spessore etico, pur con le particolari originalità di cui ho parlato in questa lettera.
Come dice il buon Woody Allen; “Parliamone!”.
Io sto bene, come penso di te e Chi si lamenta è perduto.
Un abbraccio provvisorio perché non ho abbandonato la speranza di rivederti un dì.
CIAO!!!!!. Vitt»[22].
Infatti, scrivendo che si trattava di un film sarcasticamente autobiografico, ricordo che la stessa Eva La Rocca, commentando L’onesto Giovanni realizzato da Piccardo, mi sembra di ricordare che il nome “Giovanni” in onore a Giovanni XXIII e “Honest John”, era uno dei secondi nomi aggiunti di Osvaldo; come anche, lo stesso Piccardo, quando andai a trovarli a Monte Olimpino, mi regalò un vecchio biglietto da visita con su scritto: ‘Osvaldo G. V. Piccardo’, specificandomi che il suo nome completo era diventato ‘Osvaldo Giovanni Virgineo Piccardo; come ancora, in un’altra occasione, la moglie Eva La Rocca Piccardo mi rivelò entusiasta che Giovanni, alludendo al marito, era anche da identificarsi con l’Evangelista che scrisse l’Apocalisse…
Su L’onesto Giovanni non si trovano molte notizie, fuorché le poche citazioni pubblicate all’epoca.
L’onesto Giovanni fu trasmesso anche nel 1971 sul Secondo Programma Rai nel programma Mille e una sera[23], la rubrica televisiva di cartoni animati d’autore, curata dal critico cinematografico Gianni Rondolino e dal giornalista Mario Accolti Gil.
L’Osservatore politico letterario, nel 1968, alla pag. 57, riguardo ai cortometraggi Corona, scriveva giustamente a firma del giornalista Fiorello Zangrando:
«L’originalità dei contenuti è una caratteristica dei lavori prodotti dalla Corona, anche se spesso le preoccupazioni commerciali hanno il sopravvento ed essi divengono, se non rozzi, elementari nella realizzazione. «Tantrum» di Carancini e Mulà è la surrealistica storia di un bimbo che ama un gatto verde fino a trasformarsi in un suo simile»[24]; anche se Zangrando alla p. 94 della medesima rivista, per la filmografia relativamente all’altro cortometraggio INCOM, indicò per L’onesto Giovanni il soggetto di esso attribuendolo al padre Gaetano Carancini.
Gianni Rondolino, riguardo alla filmografia di Piccardo, citò anche L’onesto Giovanni, alla pag. 302 della sua Storia del cinema d’animazione[25], stampata nel 1974 da Einaudi; mentre, recentemente, Giannalberto Bendazzi, nella sua opera monumentale in italiano intitolata Animazione. Una storia globale[26], pubblicata nel 2017 dalla UTET, alla pag. 626 di uno dei due volumi, citando en passant la produzione INCOM di Piccardo, con L’onesto Giovanni fa presente che la regia è rivendicata da Gian Luigi Carancini.
L’ultimo numero della prestigiosa rivista americana, Animation Journal, in CHRONOLOGY OF ITALIAN ANIMATION, 1911-2017, alla pag. 19 riporta che, «L’onesto Giovanni (Honest John) is a symbolic depiction of the nuclear menace; attributed to Piccardo, it was actually written and directed by INCOM freelance collaborator Gian Luigi Carancini»[27].
Gian Luigi Carancini: dal Cinema all’Università
Successivamente lasciata la Corona Cinematografica, Gian Luigi Carancini divenne fotografo free lance, in particolare tra il 1966 e il 1969, essendo tra i soci fondatori dell’AIRF, Associazione Italiana Reporter Fotografi, il cui primo presidente è stato Francesco Carlo Crispolti.
All’epoca, Carancini realizzò diversi servizi fotografici con Crispolti, il quale ‘piazzava’ i servizi presso quotidiani e riviste; in uno di questi, con Crispolti si recò all’Hotel Excelsior di Roma, dove Carancini scattò un rullino 6X6 in fotocolor su Arthur Rubinstein, pianista classico polacco naturalizzato americano, uno dei più grandi pianisti di tutti i tempi; una delle foto scattate da Carancini in quell’occasione è stata pubblicata sull’ENCICLOPEDIA UNIVERSALE edita dal SOLE 24 ORE.
Inoltre, nel suo lavoro manageriale Crispolti proponeva spesso foto sue e di Carancini all’RCA, quali cover di dischi; due foto di Carancini divennero altrettante copertine, una per antologia di percussionisti inglesi, e l’altra sul fratello di Little Tony, Enrico Ciacci, ‘Chitarra ‘67’.
Nel frattempo Gian Luigi Carancini stava diventando un archeologo e nel 1966 a un Convegno Internazionale di Preistoria e Protostoria tenutosi a Praga, ancora sotto il regime comunista capitando nel periodo di esercitazione del Patto di Varsavia con la capitale invasa dalle truppe, volendo fare un servizio fotografico sull’Istituto di Stato di Animazione a Praga dove vi lavorava anche Jiří Trnka[28], fu invitato a visitare con grande riverenza lo studio del celebre animatore cecoslovacco: un piccolo “santuario”, che Carancini fotografò, ammirando la scrivania intonsa su cui lavorò per anni Jiří Trnka, rivolta verso la porta con, dietro, la finestra affacciata sull’intera Praga.
Carancini ne rimase affascinato avendo visto il lavoro da ragazzo del grande maestro cecoslovacco in occasione del Festival di Venezia, dove il padre si recava ogni anno in occasione della manifestazione cinematografica diretta in quel periodo da Antonio Petrucci, amico di Gaetano Carancini.
Quando Gian Luigi Carancini, al tempo degli studi universitari abbandonò il ruolo di vice-cinematografico del padre presso La Voce Repubblicana, al quale collaborava già dall’età di sedici anni, subentrò nello stesso incarico Nato Frascà, poliedrico artista, pittore, scultore, architetto, designer, regista, scenografo, docente…
Carancini mantenne sempre l’amicizia con Frascà, ed ebbe modo di rincontrarlo nei primi anni settanta, prima nel corso di una mostra presso la Galleria della Trinità di Roma (1975), in occasione della quale scattò una serie di foto e poi, sempre nel 1975, nella cittadina marchigiana di Arcevia; fu Frascà ad invitarlo perché documentasse la presentazione della Operazione Arcevia; nel testo tratto da Wikipedia, relativa a questa iniziativa, si legge: «il progetto, nato dall’iniziativa dell’architetto Ico Parisi, dell’imprenditore Italo Bartoletti e dei critici Enrico Crispolti e Pierre Restany, consiste nella ideazione di una comunità, che si sarebbe dovuta realizzare in un territorio situato vicino ad Arcevia, un piccolo comune nella provincia di Ancona, attraverso le idee e la c5ollaborazione di pittori, scultori, musicisti, architetti, scrittori, storici dell’arte, psicologi, istituzioni locali». Ai progetti «…contribuiscono, tra gli altri, il regista Antonioni, lo sceneggiatore Tonino Guerra, i musicisti Aldo Clementi e Francesco Pennisi, gli artisti Alberto Burri, Carrino, Mario Ceroli, César, Arman, Jesús-Rafael Soto, Francesco Somaini, Mauro Staccioli, lo psicologo Antonio Miotto e il sociologo Aldo Ricci…».
Tra i ricordi da parte di Gian Luigi Carancini di quella importante giornata con Nato Frascà e i suoi colleghi: «Il più restio a farsi riprendere dalla mia fotocamera fu Burri, che ingaggiò una vera gara a nascondino per non farsi ritrarre; il più estroverso risultò César, che sapeva di essere ‘personaggio’. Mi colpì molto un episodio: quando l’imprenditore Bartoletti girò con un album per far firmare a tutti la loro presenza alla manifestazione, Burri prese la sigaretta che stava fumando, fece una bruciatura bucando il foglio e vi appose la propria firma. E fu così che Bartoletti si ritrovò proprietario di una ‘Combustione’ inedita di Burri!».
Abbiamo ritrovato, grazie all’indicazione di Gian Luigi Carancini e al gentile interessamento di Xuan Frascà, figlia di Nato Frascà, una delle foto originali a colori scattate nel 1975, che ritrae l’artista durante la mostra personale alla Galleria Trinità a Roma, la quale pubblichiamo di seguito:
Pur avendo cambiato successivamente lavoro, e in maniera radicale, Gian Luigi Carancini svolse ancora saltuariamente attività fotografica semiprofessionale in collaborazione con la moglie Maria Letizia (ritratti) fino al 1982, allorché uscì dall’AIRF per inconciliabilità ormai con il suo crescente nuovo impegno professionale presso la Sapienza di Roma. A partire dal 1965, infatti, il prof. Gian Luigi Carancini cominciò a dedicarsi alla ricerca in campo protostorico, andando in pensione nel novembre del 2008 con la qualifica di professore ordinario di Protostoria europea, dopo oltre trent’anni d’insegnamento presso la facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Perugia.
Oggi Gian Luigi Carancini vive assieme a sua moglie Maria Letizia in Alvito, piccola cittadina laziale inserita nel Parco Nazionale d’Abruzzo, e patria di quell’Antonio Fazio che autografava le nostre lire prima dell’introduzione dell’Euro.
Seguendo la tradizione di famiglia comune a tutti i componenti della ‘stirpe’ dei Carancini, il suo motto è da sempre: “SPENDI I SOLDI IN FRETTA PRIMA CHE FINISCANO!”.
Molti anni fa, Gian Luigi Carancini mi fece dono di due sue bellissime pubblicazioni, due raffinati volumetti da lui scritti ed illustrati, quali: Appunti di scienze naturali e Ossi di nebbia (e vignette selvatiche), entrambi con dedica:
A Mario Verger, con sincera, sincera stima. l’autore G.L.C., 23 ottobre 2013.[29]
Mario Verger
Gian Luigi Carancini – Storia di un ‘creativo’ in fuga
Testo di Mario Verger
Un grazie particolare a Xuan Frascà – Archivio Nato Frascà
Si ringrazia Francesco Chini per il prezioso aiuto nell’avermi saputo offrire con competenza e garbato humour la possibilità di una nuova serie di articoli corroborati da un ampliamento di spiegazioni storiche, artistiche e divulgative sul linguaggio del cinema d’animazione internazionale.
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Note bibliografiche:
[1] L’Egoista buono, presentato all’Anica nel 1993 da Giancarlo Zagni e Fulvio Gagliardo, oggi si trova inventariato presso il “Fondo Corona” della Cineteca di Bologna.
[2] Piero Zanotto e Fiorello Zangrando, L’Italia di cartone, Liviana, Padova 1973.
[3] Il bisnonno era il conte Gaetano Carancini di Recanati, il quale ebbe tre figli e precisamente:
1) Mario, insegnante di liceo, che ha avuto tre figli: Gaetano Mario, detto Dido; Domenico, detto Mimmo; e Maria Teresa, detta Ninella.
2) Giovanni, il più gaudente, che non ha avuto eredi.
3) Antenore, che ebbe tre figli: Gaetano, padre di Gian Luigi; Casilde; e Pierino, entrambi morti in età infantile.
[4] GIAN LUIGI CARANCINI, Recanati, la storia. I CONIGLI D’ANGORA DELLA PRINCIPESSA ANTICI, LO SPECCHIO magazine, 21/11/2017.
[5] Un’agendina di Landru, in cui erano meticolosamente registrate, di suo pugno, le spese del viaggio di andata di ogni vittima mentre erano del tutto assenti le spese del viaggio di ritorno. Di questo fatto egli non riuscì a dare alcuna spiegazione convincente al momento del processo.
[6] ‘Guida per gli emigranti’, rubrica quindicinale a cura di Gaetano Carancini e Guido Gianni (regista). In studio Bianca Maria Piccinino e Pippo Baudo, Rai, 1961.
[7] e-mail inviata dal prof. Gian Luigi Carancini a Mario Verger in data 5 febbraio 2018.
[8] Jiří Brdečka (24 dicembre 1917 – 2 giugno 1982) è stato uno scrittore, artista e regista ceco.
[9] Cfr.
[10] Mario Verger, DIAVOLO DI UN PICCARDO – Osvaldo Piccardo il Pioniere di Monte Olimpino, in Rapporto Confidenziale – Magazine di Cultura Cinematografica della Svizzera Italiana, 2007:
https://www.rapportoconfidenziale.org/?p=8241
[11] Cfr.
[12] Cfr.
[13] Cfr.
[14] e-mail di Gian Luigi Carancini a Mario Verger datata 9 febbraio 2018
[15] Clarence P. Hornung, Handbook of Early Advertising Art: Typographical Volume (Dover Pictorial Archive – New York), 31,5 x 23,5 cm, 320 pagg, 1956
[16] Roberto Rippa e Alessio Galbiati, Moana, Wojtyła, Ghezzi, Giusti, Andreotti, Milingo, Fellini, l’animazione, il cinema, la TV, la storia, il disegno e… Gesù. Conversazione con Mario Verger, in Rapporto Confidenziale – Magazine di Cultura Cinematografica della Svizzera Italiana, 2010:
https://www.rapportoconfidenziale.org/?p=6085
[17] Ibidem.
[18] Claudio Cintoli (Imola, 15 dicembre 1935 – Roma, 28 marzo 1978) è stato un artista, pittore e scenografo italiano.
[19] Claudio Cintoli realizzò per la Corona Cinematografica tre documentari in animazione: Più (1964), Mezzo sogno e mezzo (1965), e Primavera nascosta (1969).
[20] http://www.filmarchives-online.eu
[21] e-mail originale inviata dal prof. Gian Luigi Carancini alla Cineteca di Bologna in data 12 maggio 2012
[22] e-mail di Vittorio Sedini a Gian Luigi Carancini datata 2 aprile 2012
[23] Mille e una sera, Rai, puntata del 29/05/1971 – “Un uomo sbagliato” di Nedo Zanotti – “La linea” di Osvaldo Cavandoli – “Relax” di Giulio Cingoli – “L’Onesto Giovanni” di Osvaldo Piccardo – “Volare necesse est”, “Boomerang” e “Marriage” di Max Massimino Garnier – “Il sangue non è acqua” di Guido Gomas – “Ogni regno” di Secondo Bignardi – “K.O.” di Manfredo Manfredi.
[24] L’Osservatore politico letterario – Volume 14, Edizione 2 – pag. 57
[25] Gianni Rondolino, Storia del cinema d’animazione, Giulio Einaudi editore, 1974, pag. 302
[26] Giannalberto Bendazzi, Animazione. Una storia globale, UTET, 2017, pag. 626, Vol. I
[27] Animation Journal, Volume 25, 2017, alla CHRONOLOGY OF ITALIAN ANIMATION, 1911-2017, pag. 19
[28] Jiří Trnka (Plzeň, 24 febbraio 1912 – Praga, 30 dicembre 1969) è stato un illustratore, animatore e regista ceco, noto in particolare per i suoi film a pupazzi animati a passo uno.
[29] Appunti di scienze naturali, ali&no editrice, Perugia, 2007; e Ossi di nebbia (e vignette selvatiche), ali&no editrice, Perugia, 2011
Gian Luigi Carancini – Storia di un ‘creativo’ in fuga
Testo di Mario Verger
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