E.N.D. – THE MOVIE: INTERVISTA AL REGISTA FEDERICO GRECO

E.N.D. – The Movie: è uscito negli Stati Uniti l’ultimo film del cineasta Federico Greco. Intervista con l’autore.

Direttore di festival, docente, sceneggiatore e regista, Federico Greco (Roma, classe 1969) è un autore prolifico, impegnato da più di 15 anni sulla scena italiana ed internazionale. La sua ultima fatica, E.N.D. – The Movie, un film horror uscito in DVD negli States, è disponibile online su Amazon.

Dopo il debutto, nel 1999, con il particolarissimo Stanley and Us, film realizzato in collaborazione con Mauro Di Flaviano e Stefano Landini sul loro mito Stanley Kubrick, Greco ha diretto documentari  (Ambiguità e disincanto, 2002; Fuori fuoco, 2004, Voci migranti, 2010), film horror e cortometraggi (Il mistero di Lovecraft – Road to L., 2005; Liver, 2007; Nuit Americhén, 2013, horror satirico con Gianmarco Tognazzi; Angelika, 2014) e serie (Spread Zero, 2015, web serie), per il cinema, Sky e Rai e per il web.

PERCHÉ IL GENERE HORROR

Priscilla Mancini: Federico, partiamo dal tuo ultimo lavoro E.N.D. – The Movie. Si tratta di uno zombie-movie in tre parti co-diretto insieme a Domiziano Cristopharo, Luca Alessandro e Allegra Bernardoni. Come mai hai scelto, in questo caso e nella tua filmografia in generale, il genere horror? Semplice passione o pensi che questo genere possa offrire maggiori spunti narrativi rispetto ad altri generi?

Federico Greco: Credo, non solo teoricamente ma per esperienza di autore e spettatore, che con il cinema di genere si abbia una maggiore libertà creativa. Per intenderci, se volessi sciogliere in narrazione uno dei confilitti più consueti e potenti che il cinema affronta da sempre, cioè il rapporto problematico padre-figlio, col genere (fantascienza, horror, thriller, noir…) ho a disposizione scenari infiniti in cui innestarlo e dunque infinite possibilità di trovare la chiave metaforica ed emotiva più efficace possibile. E magari verrebbe fuori, che so, una cosa come Guerre stellari.

Quando insieme a Roberto Leggio ho scritto e diretto Il mistero di Lovecraft, l’intenzione era di indagare gli aspetti più complessi della condizione mentale dell’uomo quando viene a contatto con risposte esistenziali molto più grandi delle domande che si pone (quel genio di Douglas Adams direbbe: “Domande sulla Vita, l’Universo e Tutto Quanto”). Ciò ci consentì sia di restituire la paura ancestrale (che è la conseguenza di quelle risposte) sia di addentrarci il più efficacemente possibile dentro il conflitto profondo dei protagonisti. A conferma di tutto questo, mi pare vi sia tutta la storia del cinema italiano, o almeno quella parte di storia (dagli anni ’60 agli anni ’70) in cui il cinema italiano era il primo del mondo. Siamo noi ad aver insegnato agli altri come si gira un film di genere e ancora oggi, a distanza di 40 anni, soprattutto i registi statunitensi non smettono di imitarci.

CHI SONO DAVVERO I MOSTRI?

PM: Quello degli zombie è un universo di riferimento piuttosto in voga negli ultimi anni. Basti pensare alla serie Walking Dead, diventata in breve un vero e proprio cult nel genere. Come mai hai scelto proprio gli zombie per il tuo ultimo film?

FG: Perché erano diversi anni che volevo confrontarmi, appunto, con le potenzialità che questo contesto mi sembrava offrire. Io vedo il mondo attraverso gli occhiali di John Nada, il protagonista di Essi vivono di John Carpenter. Non è un bel mondo. È popolato da mostri la cui natura mi sfugge ma di cui percepisco con forza l’energia negativa. In un ambito narrativo del genere è più facile provare a riflettere su chi è davvero il mostro. E quando Roberto Papi, scenografo e co-produttore del film, mi sottopose la storia che aveva abbozzato per l’ultimo episodio di E.N.D., ci trovai immediatamente le potenzialità per raccontare questo ribaltamento nietzschiano. Così ho immaginato che, diversi anni dopo l’esplosione di un’epidemia che ha trasformato quasi buona parte dell’umanità, forse a essersi salvati non fossero stati coloro che erano rimasti umani. Ovviamente bisogna mettersi d’accordo sul significato profondo del termine “salvarsi”.

VOLONTARIATO E CROWDFUNDING 

PM: E.N.D. – The Movie è stato realizzato in totale indipendenza economica e con il supporto volontario (nella stragrande maggioranza dei casi) di decine di persone. Quanto è importante il crowdfounding, come sostegno per le opere indipendenti?

FG: In Italia pochissimo, perché non c’è (più) una cultura del supporto economico alla creatività. Paradossale, perché è nel Rinascimento, straordinaria deflagrazione culturale tutta italiana, che fu rilanciata la figura del mecenate nata durante l’Impero romano. Oggi il crowdfunding funziona di più all’estero, in particolare in Spagna e USA.

CINEMA ITALIANO E CINEMA STATUNITENSE

PM: Come mai il film è uscito, per il momento, solo negli States? Per chi sceglie di diventare regista, l’America offre possibilità in più rispetto all’Italia?

FG: Perché l’argomento, zombie, apocalisse, sangue e violenza, in Italia è visto come robaccia di serie B. Intendiamoci, la maggior parte dei film horror italiani, ma anche statunitensi, è paccottiglia. Ma fuori dai nostri confini gli si dà almeno dignità cinematografica e quindi una chance. Qui in Italia, da una certa élite culturale è considerato ciarpame tutto ciò che puzza di entertainment. Come se compito del cinema fosse solo farci sentire culturalmente superiori invece che divertirci, nell’enorme ventaglio di accezioni che il termine possiede. Il cinema medio, in alcuni casi solo apparentemente tale (ho in mente per esempio La decima vittima di Elio Petri, incursione di quest’ultimo nella fantascienza), è quasi del tutto scomparso ed è stato sostituito dalla commedia più o meno autoriale che però non ha il respiro universale che aveva quella dei vari Monicelli decenni fa. Infatti il nostro cinema, da quando ha smesso di produrre sistematicamente film come quelli di Sergio Leone, Bava, Argento, non esiste praticamente più sui mercati internazionali.

Per tornare all’argomento specifico della domanda, negli USA la distribuzione è più attenta, ma le difficoltà per fare questo mestiere e camparci sono le stesse che in Italia. La premessa alla base è sempre la stessa: non è col cinema che ti costruisci un reddito, ma è con un reddito già esistente che fai cinema. Insomma anche lì fare cinema – quello con i soldi veri – è privilegio di una piccola élite che non avrebbe bisogno di lavorare per vivere. Anche lì, come qui, è tutta una questione di conoscere le leve economiche giuste. Tutto il resto è sogno adolescenziale, oppure straordinaria capacità di fare rete politica e imprenditoriale.

IL GENERE DOCUMENTARISTICO COME INDAGINE DEL REALE

PM: Un altro genere narrativo che ami è il documentario, caratterizzato da un’impronta politico-sociale. Quanto è importante per te la critica e l’analisi, fedele o metaforica, della società in cui viviamo?

FG: L’indagine del reale, direi meglio, è fondamentale. Non mi pare ci sia altro obiettivo all’origine del desiderio di raccontare storie. E non mi pare che chi vuole ascoltare storie abbia altro obiettivo se non essere aiutato a decifrare il mondo che lo circonda e a comprendere qualcosa su se stesso. Ciò non significa ovviamente che chi fa il mio mestiere abbia le risposte. Però è obbligato ad avere un magazzino pieno di domande. Quando faccio un documentario cerco le domande direttamente nella realtà, invece che passando dalla riflessione che precede la scrittura della finzione. Poi è chiaro che anche facendo documentari si fa scrittura, ma è una scrittura sbilanciata sulla fase successiva alla scrittura vera e propria.

Ci sono poche cose più affascinanti di girare un documentario e poi, in sala di montaggio, quando viene concesso il tempo adeguato, cercare di capire cosa si è girato davvero. Col documentario in qualche modo si ha l’opportunità di riprendere la realtà, congelarla dentro un dispositivo di riproduzione e rivederla con calma, fuori dal contesto, per provare a interpretarne il senso più profondo e poi tentare disperatamente di restituirlo col montaggio. Cosa c’entrano gli zombie col cinema del reale, mi si potrebbe chiedere. Bella domanda, da farci un film.

PROGETTI FUTURI

PM: Hai già in mente qualche progetto futuro? Horror o documentario?

FG: Un documentario horror. Lo sto girando da circa due anni insieme ad Adriano Cutraro e Mirko Melchiorre. Si chiama PIIGS e affronta l’argomento più spaventoso, funesto e sorprendente del presente: l’Eurozona.

 

 

Priscilla Mancini