“Brutti, sporchi e cattivi” è un film del 1976 diretto da Ettore Scola, con Nino Manfredi. L’azione si svolge nella periferia romana dei primi anni settanta e nelle sue baracche, raccontate impietosamente con tutte le loro miserie, morali e materiali.
BELLI, PULITI E MOLTO PIÙ CATTIVI
Giacinto ha 10 figli, un milione di lire vinto per aver perso un occhio e una baracca imbottita da moglie, amante e parenti vari, nella periferia romana. Convive con la paura che qualcuno di casa possa scippargli il “tesoro” (ossia il suo milione di lire) e perciò dorme col fucile accanto al cuscino.
Ogni società ha sempre avuto i suoi margini. Viverci qualche volta è una scelta, più spesso è effetto collaterale di uno sviluppo distorto che fabbrica anche sottosviluppo.
1976. Siamo in un Paese che fra dieci anni diventerà quinta potenza mondiale, superando il Regno Unito. Ormai la classe media è spina dorsale di un popolo, prima contadino ora consumatore.
La famiglia Manzella vivacchia fra furti, furtarelli, prostituzione ed espedienti vari. Qualcuno di loro mira al grande salto, per essere incluso, magari senza lavorare. Ecco che allora si è disposti a tutto. Non è un film qualsiasi bensì un affresco grottesco, cinico e spietato di umanissima avidità.
I Manzella, ritratti magistralmente da Ettore Scola (Palma d’oro per la migliore regia al Festival di Cannes 1976), sono un po’ nostri antenati? Gente semplice, ma disposta a tutto per raggiungere denaro e fama. E, quindi, incattivita. Tanto da rinchiudere i più giovani in un recinto, come a impedire loro ogni possibilità di futuro.
Eppure quasi tutti noi non viviamo di espedienti, ma siamo come intrappolati in un eterno presente. Non siamo brutti, né sporchi, anzi. Siamo belli, puliti e alla moda. E siamo disposti a tutto, pur di non essere esclusi. La cronaca nera dipinge quotidianamente la nostra epoca, ma è ciò che la televisione non passa a essere forse più inquietante: la cronaca grigia dei rapporti umani, della socialità virtuale, della disoccupazione reale.
Siamo così: belli, puliti e molto più cattivi. E forse la malvagità più grande è l’indifferenza. Ciò che crea il grande vuoto: dal sottoproletariato al precariato; dalle baraccopoli ai “non luoghi”, periferie commerciali. Dall’accattonaggio agli outlet, dalla promiscuità di borgata all’«amore liquido» di Zygmunt Bauman.
Per attori che passano, un’umanità che resta: il grande Ettore Scola ci ha lasciato in eredità uno “Specchio”.
Sta a noi a liberare i più giovani dal recinto: per prima cosa, cerchiamo di riporre il fucile e tornare finalmente a ridere di noi stessi.
Jacopo Brogi