PERCHÉ SERVE UN CAMBIAMENTO ECOLOGICO

I politici più in vista ci assicurano per l’ennesima volta che stiamo uscendo dalla crisi. Ma è proprio così? 

 

LE RISORSE DEL PIANETA

Sebbene il nostro pianeta disponga ancora di discrete risorse minerarie metalliche (ferro, rame, oro, argento, litio, etc) ed energetiche (petrolio, gas, carbone), è da tenere presente che viviamo in un mondo limitato e che la loro quantità è comunque finita.

Il problema delle risorse minerarie deriva dalla strategia adottata per la loro estrazione, la quale avviene secondo un modello logistico (predatorio). L’uomo tende in un primo tempo a sfruttare le risorse che può ottenere in maniera più facile ed economica: petrolio dai giacimenti poco profondi e in luoghi facilmente accessibili, minerali da miniere a cielo aperto e ad elevata concentrazione. Successivamente egli passa a sfruttare giacimenti di minore qualità, ove l’estrazione di quantitativi supplementari di quella risorsa diviene sempre più costosa. Lo sfruttamento della risorsa avviene sempre alla massima velocità consentita dal contesto economico-finanziario e dalla tecnologia disponibile. Secondo siffatto modello, la produzione (il flusso di risorsa reso disponibile all’uso umano) si sviluppa secondo un andamento a campana asimmetrica. In altre parole, inizialmente la produzione aumenta in modo esponenziale per poi flettere sino a raggiungere un massimo (il picco della produzione) e quindi declinare velocemente. Lo stesso modello di produzione si può ritrovare anche per l’acqua potabile (gli acquiferi si impoveriscono velocemente e si ricostituiscono più lentamente) e per i terreni dedicati alla coltivazione del cibo (l’humus, ossia la parte superficiale fertile del terreno, si erode più velocemente di quanto si ricostituisca).

Non va dimenticato che lo sfruttamento intensivo delle risorse minerarie – e, soprattutto, dei combustibili fossili – sta producendo anche un severo problema d’inquinamento. I serbatoi di assorbimento naturali (aria, acqua e terreno) faticano sempre più ad assimilare le emissioni inquinanti prodotte, e la crescita della concentrazione di anidride carbonica nell’aria e negli oceani ne è un evidente esempio.

I modelli econometrici attualmente impiegati dalla stragrande maggioranza degli economisti sono poco realistici, in quanto tali modelli non tengono conto dei limiti di scala. Gli economisti tradizionali ritengono che l’economia possa continuare a crescere illimitatamente. La realtà, però, è ben diversa. Sembrerebbe proprio che l’economia mondiale abbia già raggiunto alcuni limiti riguardanti l’approvvigionamento energetico legato al petrolio. Nonostante una forte domanda, nel 2005 la produzione mondiale di petrolio detto convenzionale (ovverosia quello più a buon mercato in quanto di più facile estrazione) pare abbia raggiunto un picco, e da allora non cresce più. In anni più recenti, una leggera tendenza all’incremento dell’offerta petrolifera mondiale annua è dovuta alla produzione di petrolio non convenzionale, cioè quello che viene anche chiamato “tutti i liquidi del petrolio” e che prevede maggiori difficoltà tecniche di estrazione e lavorazione. Tuttavia, proprio quest’anno, anche questa tipologia petrolifera sembra aver raggiunto un picco di produzione a livello mondiale, nonostante gli enormi sforzi tecnologici ed economici che le varie compagnie petrolifere stanno profondendo nel tentativo di aumentare tale produzione.

IL PETROLIO NON MANCA, MA…

È importante ribadire che non ci si ritrova di fronte ad una mancanza di petrolio. L’OPEC (l’organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio) afferma di avere ancora grandi riserve (sebbene sia da precisare che mai codeste stime sono state sottoposte a revisione contabile e un cospicuo numero di esperti e ricercatori ritengono che vi sia un’ampia sopravvalutazione in merito ad esse). In ogni caso, il problema non è la quantità di petrolio ancora presente sotto terra, bensì i limiti che stiamo raggiungendo sia dal lato dell’offerta sia dal lato della domanda di oro nero. Dal lato dell’offerta, il problema riguarda l’esistenza di un limite al flusso mondiale di petrolio che può essere reso disponibile per usi finali ossia alla velocità con la quale lo possiamo estrarre e raffinare. In altre parole è possibile ragionevolmente affermare che sia stato raggiunto un tetto di produzione, ossia un limite di offerta mondiale annua di petrolio convenzionale (a basso prezzo). Il petrolio che ancora rimane sotto terra (che consiste in almeno tanto quanto sinora ne sia stato estratto) è un petrolio situato in giacimenti sempre più inaccessibili: nelle acque profonde, sotto i ghiacci artici, nelle sabbie bituminose o nelle formazioni arenarie (il cosiddetto shale oil) e può essere reso disponibile per gli usi finali solamente a prezzi molto alti. Prezzi che sono insostenibili per la nostra economia. Ed è qui che incontriamo l’altro limite, ovverosia quello della domanda di petrolio.

Non tutti gli economisti concordano sul destino dell’offerta mondiale di petrolio. Gli economisti tradizionali, in particolare, ritengono che la diminuzione dell’offerta di petrolio conduca ad un aumento dei prezzi, con carenze sempre più marcate e frequenti del suo approvvigionamento. Questo non è però il solo scenario possibile. I rendimenti decrescenti dei processi di estrazione e raffinazione del petrolio sottraggono, difatti, sempre più risorse all’economia reale e ciò si riflette in un aumento del costo dei prodotti energetici finiti. Merci e servizi, dipendenti da tali prodotti, diventano sempre più cari mentre gli stipendi e i salari dei lavoratori comuni perdono sempre più potere d’acquisto. I consumatori, che sono gli stessi lavoratori, posti nella condizione di dover scegliere se risparmiare sulle spese primarie (cibo, vestiario, alloggio) o sulle spese accessorie, sono costretti a tagliare quest’ultime. Se questo processo viene accompagnato dall’imposizione di una tassazione sempre più onerosa, così come spesso è avvenuto negli ultimi anni in particolare sia nel nostro Paese che in altri Paesi dell’Europa Meridionale, allora aumenta il rischio di finire in uno stato di crisi economica permanente. Tali fenomeni, insieme combinati, determinano minori profitti per le imprese dei settori discrezionali. Esse sono costrette a licenziare molti dei loro dipendenti, aumentando così il livello di disoccupazione del Paese e incrementando le spese governative per i servizi di assistenza sociale. L’incapacità dei consumatori di acquistare merci prodotte con un petrolio più caro (in alcuni casi unito, come già ricordato, a un incremento della pressione fiscale) può innescare, nel casi più gravi, un vero e proprio collasso delle attività economiche. In una tale situazione si verifica un crollo della domanda di beni e servizi, e quindi anche di petrolio. Paradossalmente tutto ciò causa una condizione di eccesso di offerta di petrolio sul mercato, con conseguente caduta del prezzo dell’oro nero. Esattamente quello che sta avvenendo ora.

IL PROBLEMA PER L’ECONOMIA

Va nuovamente ribadito che il problema, per l’economia, non è tanto la mancanza di petrolio presente sotto terra quanto la mancanza di petrolio disponibile, all’uso umano, a buon mercato. Il limite consiste nel prezzo massimo – che la nostra economia è disposta a sopportare – del petrolio, pena il crollo dei consumi: se il prezzo del petrolio potesse aumentare indefinitamente, in seguito ad un proporzionale aumento dei salari dei lavoratori comuni, non ci sarebbe alcun problema immediato in quanto si potrebbe continuare ad estrarre sempre più petrolio non convenzionale (oil sands, oil shale, tight oil) a prezzi sempre più alti. Naturalmente, più in là, dovremmo in questo caso fare i conti con altri limiti: inquinamento, esaurimento delle risorse, etc.

Alcuni studi indicano che il livello di prezzo del petrolio, dove l’economia statunitense inizia a entrare in recessione, è di 85 dollari al barile (dollari del 2009). Oltre tale limite, ogni ulteriore aumento di prezzo del petrolio attiva forze recessive sempre più intense che ne fanno crollare il prezzo. Con il prezzo basso, la domanda di petrolio tende a risalire. Ciò spinge nuovamente in su il prezzo sino al livello che innesca una nuova e più dura recessione ed il suo successivo crollo di prezzo. Si assiste dunque ad un’oscillazione del prezzo del petrolio, prezzo che però non può salire più di tanto (pena la recessione) e non abbastanza a lungo da permettere una significativa produzione, di petrolio caro, che renda competitive (senza incentivi) le fonti energetiche “rinnovabili”.

Esiste uno stretto legame tra i limiti di accessibilità ai prodotti petroliferi da parte dei consumatori, le crescenti insolvenze del debito e la recessione economica. A tale proposito è stato di esempio lo scoppio della bolla immobiliare in USA avvenuta nella seconda metà del 2006. Si è detto che il picco di produzione mondiale del petrolio convenzionale è avvenuto nel 2005 ma già dal 2003 i prezzi del petrolio avevano iniziato a crescere, facendo così aumentare anche i prezzi dei generi alimentari. In risposta, la banca centrale statunitense (la Federal Reserve) ha iniziato ad innalzare i tassi d’interesse. Il contemporaneo aumento, sia dei prezzi del petrolio che dei tassi di interesse, ha comportato un duro colpo per l’economia statunitense. Per molti cittadini degli Stati Uniti è risultato praticamente impossibile pagare sia il maggior prezzo della benzina utile a recarsi al lavoro sia le più onerose rate del mutuo sulla casa. In questo modo è detonata in USA una bolla immobiliare, che da anni si stava gonfiando. Il risultato è stato un aumento impressionante delle insolvenze bancarie, in quanto moltissimi americani non sono più stati in grado di rimborsare le rate dei mutui. Ne è derivata la recessione economica del 2008, che è stata poi esportata in tutto il mondo.

SCENARI DI RISCHIO

Nessuno sa esattamente quando l’offerta mondiale di petrolio inizierà a diminuire, ma è un fatto che oggi essa è già praticamente stazionaria. Nazioni come Cina, India, oltre che i Paesi esportatori, si stanno approvvigionando di una maggior quantità di petrolio e questo accade a scapito dei Paesi sviluppati che sono importatori di petrolio, come gli Stati Uniti, l’Europa ed il Giappone. Questi ultimi possono dunque disporre di sempre meno petrolio.

Il petrolio è una risorsa indispensabile alla realizzazione di quasi tutti i processi produttivi. Questa sua caratteristica strategica di essenzialità (una sua sia pur minima mancanza può bloccare intere filiere industriali) ci deve allarmare, poiché la sua indisponibilità può essere all’origine di ben più gravi disagi.

La globalizzazione in corso ha interconnesso in modo troppo rigido i diversi sottosistemi strategici (energia, cibo, finanze, commercio internazionale, internet, sanità, pensioni, etc) sui quali abbiamo fondato il nostro stile di vita. Ne risulta un sistema socioeconomico rigido, che ha perso molta della sua originaria flessibilità e che rischia di collassare sotto l’azione delle crescenti spinte disgregatrici. Un sottosistema particolarmente vulnerabile è quello finanziario,il quale è stato progettato per funzionare in un’economia in costante espansione. Siffatto modello economico si basa sull’idea che nel futuro sia possibile assicurarsi la disponibilità di maggiori risorse di modo da permettere agevolmente il rimborso dei debiti contratti e dei relativi interessi. Se però si prospetta uno scenario di minore disponibilità futura di petrolio, ci dobbiamo attendere una più profonda recessione economica. Una recessione che potenzialmente è in grado di sollecitare al massimo il sistema finanziario e che può conseguentemente portare ad un sensibile aumento delle insolvenze sui debiti e alla corrispondente, e successiva, inevitabile stretta creditizia. Un simile scenario rischia di essere aggravato dalle caratteristiche del sistema dell’euro, che obbliga gli Stati membri a impegnarsi in una politica economica di stampo mercantilista e a puntare così tutte le nostre carte sul commercio internazionale, con tutti i possibili gravi rischi derivanti da un’eventuale scarsità di petrolio che può limitare sensibilmente il trasporto di persone e merci in giro per il mondo.

IL FUTURO È NELLE NOSTRE MANI

Data la natura fortemente interconnessa e non lineare del nostro sistema socioeconomico, non è possibile prevedere come esso si evolverà nel suo complesso. Tuttavia è quasi certo che, tra un paio di decenni, vivremo in una società molto diversa da quella che conosciamo oggi. Come sarà diversa, dipenderà solo da noi. Il futuro è nelle nostre mani, tutti noi dobbiamo sentirci responsabili ed agire di conseguenza.

Una possibilità che abbiamo, di mitigare le conseguenze delle terribili sollecitazioni alle quali il nostro sistema socioeconomico sarà sottoposto, è quella d’impegnarci in un cambiamento che dovrà iniziare da una diversa concezione dello stile di vita. Dobbiamo rivedere il nostro sistema socioeconomico e costruire una comunità locale resiliente. In particolare occorre rilocalizzare l’economia, almeno per le merci e i beni primari, e produrre con filiere molto corte in modo da dare un nuovo valore al rapporto tra produttori e consumatori e far sì che gli effetti che scaturiscono dalle varie decisioni economiche possano essere direttamente verificati e giudicati sul territorio. La comunità locale dovrà quindi essere progettata con strutture strategiche modulari, ridondanti, ed essa dovrà venire dotata di una rete di relazioni sociali altamente interconnessa e dinamica, secondo il modello della transizione. Si potrà così sviluppare una comunità locale, che sia capace di reagire prontamente a choc esterni senza subire danni permanenti e che sia in grado di sviluppare un’intelligenza collettiva utile a individuare le soluzioni più pertinenti ai problemi locali, contingenti ed inaspettati.

CONCLUSIONI 

I dati sembrano confermare il raggiungimento di un picco nell’offerta mondiale annua di petrolio convenzionale, a buon mercato, e pur essendo vero che vi è ancora molto petrolio nel sottosuolo, tale petrolio può essere reso disponibile per usi finali solamente a prezzi molto alti, insostenibili per la nostra economia, con l’insorgenza di conseguenti recessioni e altrettanto conseguenti crolli dei consumi.

Ci troviamo dunque in una situazione molto difficile. Abbiamo bisogno di aumentare il prezzo del petrolio di modo da poter estrarre le grandi quantità petrolifere ancora presenti sotto terra. I prezzi non possono però aumentare in quanto, anche a causa dei rendimenti di estrazione decrescenti, i consumatori non dispongono di abbastanza denaro per comprare i prodotti fatti con il petrolio più caro. Come risultato, s’ingenera una dinamica ampiamente mutevole dei prezzi del petrolio, limitata verso l’alto dalle forze recessive, con fasi oscillatorie sempre più rapide.  Tali rapide fasi oscillatori impediscono che si vengano a creare le condizioni utili allo sviluppo delle fonti energetiche che vengono definite con il termine rinnovabili.

Data l’esistenza di uno stretto legame tra i limiti di accessibilità dei prodotti petroliferi da parte dei consumatori, la recessione economica e i relativi limiti di indebitamento, e dato che in futuro i prodotti energetici saranno sempre meno accessibili ai consumatori a causa dei rendimenti decrescenti, ne deriva che questa crisi economica (iniziata nel 2008) non potrà, rebus sic stantibus, mai aver fine. Dobbiamo renderci conto di ciò.

Una soluzione però esiste, ed essa non è all’interno della presente logica consumistica e della crescita infinita (ossia quella logica che ha generato tutti i fattori di questa potenziale crisi economica infinita). Occorre un cambiamento radicale del nostro stile di vita. Gli eventi ci hanno portato di fronte ad un importante alternativa: o scegliamo liberamente di cambiare stile di vita, e di ridimensionare così la nostra economia in modo da farla rientrare nei limiti dell’ecosistema che la comprende e la supporta, oppure scegliamo di continuare imperterriti sull’attuale strada del consumismo e della crescita economica infinita, fino a quando, raggiunti i limiti ecologici, sarà la stessa Natura a obbligarci ad un ridimensionamento forzato (e certamente non piacevole) della nostra esistenza.

Vorrei concludere con un caloroso invito a tutti: uscite dalle vostre case, incontrate i vostri vicini e conoscenti, informatevi, confrontatevi con loro su questi temi. Impegnatevi attivamente a livello della vostra comunità locale, e mettete in discussione i vostri modi di pensare e il vostro stile di vita. Non aspettatevi che i politici facciano la prima mossa. Non la faranno mai. Il cambiamento dello stile di vita deve partire da dentro di noi, dopo una seria riflessione fatta con le persone che conosciamo e di cui ci fidiamo. È un tema importante in quanto il nostro futuro, quello dei nostri figli e nipoti dipende da ciò che tutti noi vogliamo fare, adesso, non da soli ma uniti con la nostra comunità.

 

Carlo Marazzi

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Carlo Marazzi è ingegnere energetico. Laureatosi nel 1976 in ingegneria nucleare presso il Politecnico di Milano, è progettista e consulente nei settori dell’efficienza energetica, delle energie rinnovabili e dell’ingegneria bioclimatica, temi riguardo ai quali ha partecipato come relatore a conferenze e seminari per conto di società multinazionali ed enti pubblici. Tra i suoi interessi vi è lo studio del pensiero sistemico con l’obiettivo di coniugare economia, ecologia ed energetica in un’ottica interdisciplinare.