Avrei dovuto essere con voi a questo incontro, ma purtroppo l’influenza mi ha steso e sono qui a delirare per la febbre. Mi era stato proposto di parlare della dimensione emotiva e psichica della transizione al digitale e provo a farlo.
Il film Imitation Game di Morten Tyldum che è in circolazione in questi giorni racconta la storia di Alan Turing, geniale matematico inglese che per primo concepì il metodo dell’automazione computazionale.
Il fin racconta questa storia dal punto di vista della sofferenza psichica di un giovane omosessuale, provocata dal conformismo repressivo, e scatenata dalla morte dell’unico amico, dell’unico amore della sua vita. Nel disperato tentativo di rimuovere quella sofferenza Alan realizza una sorta di scissione della sua personalità. Diviene del tutto incapace di interagire emotivamente: incapace di comprendere le sfumature della comunicazione non verbale, incapace di provare solidarietà o affetto, incapace di ragionare in termini che non siano strategicamente computazionali. Questo fa di lui un genio dell’informatica, ma anche una persona incapace di vivere una vita felice.
Il film introduce una questione fondamentale: la transizione digitale comporta una trasformazione in senso connettivo del rapporto tra individui coscienti. I corpi scompaiono dal flusso della comunicazione, isolati davanti ai loro schermi luccicanti. E nello spazio comune (ciber-spazio) rimangono i segni, che debbono modellarsi secondo un principio di compatibilità connettiva. Segni senza corpo, produzione senza socialità. Questo comporta una fragilizzazione della solidarietà tra gli umani. Lo scambio comunicativo permette di compiere operazioni funzionali, ma non di sentire l’odore della paura, del desiderio, della speranza, della solidarietà.
Sta qui l’origine antropologica della debolezza del lavoro precario e cognitivo. Milioni di lavoratori si connettono quotidianamente, ma non si congiungono, scambiano segni e producono valore, ma non possono costruire legami di solidarietà perché i loro corpi non si incontrano e perché la loro relazione è puramente funzionale, ricombinante, e fra loro prevale la competizione.
La sofferenza psichica dilaga, nella prima generazione connettiva: patologie dell’attenzione, dell’affezione. Il ciclo panico-depressivo alimenta una vera e propria epidemia suicidaria. Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità il suicidio è cresciuto del 60% (avete sentito bene) negli ultimi 40 anni, che sono gli anni della dittatura neoliberista e sono gli anni della mutazione digitale. E sono proprio i giovani che rivelano più alta tendenza al suicidio.
In questo spazio prolifera con rapidità impressionante il dispositivo Facebook. Facebook nasce dal bisogno affettivo di una prossimità emozionale che la digitalizzazione ha quasi cancellato. Le reti cosiddette sociali nascono da questo bisogno di ricostituire socialità.
Ma è una socialità formattata, un’affettività senza corpo. La relazione infinitamente complessa dell’amicizia viene ridotta entro procedure formali di tipo computazionale. “Conferma richiesta di amicizia”.
E il processo infinitamente complesso della mobilitazione delle energie sociali viene tradotta nel cliccare sulla casella: firma la petizione online.
Io credo che la partita decisiva del tempo futuro si svolgerà essenzialmente nella cibersfera, e penso che la decostruzione e riprogrammazione degli algoritmi del dominio sia il grande compito che dobbiamo affrontare.
Ma questo non accadrà mai se i corpi non si ritrovano. Solo nella ricomposizione della corporeità collettiva, nella ricostituzione di circuiti di solidarietà si fonda la possibilità di ritornare poi di fronte allo schermo, nell’officina computazionale che chiamiamo rete, per distruggere gli algoritmi
e riprogrammare la macchina globale secondo gli interessi dell’umanità e non del profitto.
Vi ringrazio e mi scuso dell’assenza della mia corporeità che sta qui spiaccicata sul letto davanti a questo schermo, e vi auguro dei giorni bellissimi e il prossimo abbattimento della dittatura finanziaria in Europa.
29 gennaio 2015, Bologna
Franco Berardi