GIANNI RONDOLINO, ANIMAZIONE COME FORMA D’ARTE

È morto a 83 anni nella sua casa di Torino lo storico e critico del cinema Gianni Rondolino (Torino, 1932). L’omaggio del collega Giannalberto Bendazzi (Ravenna, 1946), che riconosce in Rondolino un grande anticipatore: “ha concepito l’animazione come forma d’arte una generazione prima di noi”.

INTERVISTA A GIANNALBERTO BENDAZZI IN RICORDO DI GIANNI RONDOLINO

Chi era Gianni Rondolino?  

Gianni Rondolino era un uomo intelligente e colto e, in questo senso, ha rappresentato il capofila dei critici cinematografici italiani per quel che riguarda il cinema d’animazione, della sua generazione e delle generazioni precedenti, perché fino a quel momento chi aveva parlato di cinema d’animazione ne aveva parlato come di un fenomeno leggero, trascurabile. Anche se ci hanno dedicato un libro persone come Walter Alberti e Piero Zanotto, che erano gente che aveva scritto sull’animazione, ma non sull’animazione intesa come un fenomeno culturale, profondo e artistico.

Quanto è stato importante Gianni Rondolino per il cinema in generale e, in particolare, per il cinema d’animazione? 

Gianni Rondolino è stato importante per il cinema italiano soprattutto perché ha saputo creare dal nulla il Torino Film Festival e quindi ha permesso a moltissimi registi di mettersi in luce e a moltissimi spettatori di prendere atto dell’esistenza di grandi autori, di opere importanti e di giovani. È stato un buon critico e un buono studioso. Io, per esempio, amo molto un suo libro su Luchino Visconti, che stranamente non è mai stato molto preso in considerazione, ma secondo me era un ottimo libro, forse la cosa migliore che abbia scritto – questo per il cinema. Poi ha scritto un lavoro importante: la famosa storia mondiale del cinema in tre volumi, sulla quale ci sono stati dei dibattiti. E poi perché ha fatto la prima, vera, storia del cinema d’animazione nel 1974, che ha avuto una diffusione soltanto in Italia, perché non è stata tradotta e non se ne è parlato all’estero, ma questa è una delle caratteristiche di Rondolino come torinese.

Cosa intende? Ci può spiegare meglio?

Gianni era un uomo molto riservato e aveva pochi amici intimi e aveva un’adorazione per la sua città d’origine, la città in cui era nato, e se avesse potuto avrebbe viaggiato il mondo portandosi Torino in tasca. Quindi, il fatto che lui sia rimasto un po’ chiuso nel mondo di Torino e piemontese, è caratteristico del fatto che lui considerava il mondo come “torinocentrico” e, in questo senso, non ha espanso la sua cultura, il suo insegnamento molto in là, proprio perché voleva che Torino fosse il centro della cultura.

Quali erano i suoi registi preferiti?

Rondolino è una persona a cui io devo gratitudine perché mi ha presentato Alexandre Alexeieff, che è diventato poi il mio grande maestro, e Walerian Borowczyk, con cui non ho avuto rapporti diretti, ma che ho conosciuto personalmente. Non siamo diventati amici, ma mi ha aperto gli occhi a un tipo di cinematografia rara e difficile e al contempo seducente.

Come l’ha conosciuto?

Lui era uno degli organizzatori del più bel festival d’animazione mai fatto in Italia, che era quello di Abano Terme. E lui si occupava di un settore, perché c’era una specie di un gruppo di organizzatori diversificati. C’era Claudio Bertieri per una cosa, c’era Piero Zanotto per un’altra cosa, c’era Max Massimino Garnier per un’altra cosa ancora, eccetera. E lui era uno degli organizzatori presenti. Il mio rapporto con lui non è mai stato molto intimo, perché era appunto una persona molto riservata, però è sempre stato basato sulla stima reciproca.

Qual è il suo ricordo personale?

L’aneddoto è sempre una cosa divertente che non ha a che fare con la grandezza del personaggio, però la cosa che mi fa ridere quando penso alle mie conversazioni con Rondolino, fu la volta che ad Annecy, io e lui ci piazzammo davanti al cabaret delle paste e cominciammo a mangiare le paste come dei forsennati, assicurandoci l’un l’altro che non facevano male alla salute.

Cosa ci lascia Gianni Rondolino? Qual è la sua eredità?

Ci lascia delle persone che lui ha creato, cioè i suoi allievi diretti che continuano a fare la sua opera. C’è Alfio Bastiancich, Chiara Magri, Donata Pesenti Campagnoni; sono sue allieve e proseguono la sua strada. Non è stato un maestro senza allievi Rondolino, ha insegnato all’università di Torino e ha avuto dei prosecutori.

 

A cura di ZiaCin