[…] Avevamo introdotto il problema dell’economia atomica, cioè non possiamo fare delle reazioni caratterizzate dal fatto che perdiamo dei “pezzi” di molecole. Dei pezzi di molecole come in caso di decarbossilazione: si perde la CO2 , e siamo rovinati poiché comunque è un qualcosa che va a incidere non tanto sul problema dell’inquinamento bensì è proprio per via del fatto che perdiamo un pezzo della materia prima, e quindi da un punto di vista economico in ogni caso non va bene. Non è importante avere solo una reazione che abbia una resa grande. È importante avere un’economia degli atomi di carbonio, una economia della reazione, un’efficienza della reazione […] che sia alta.
In una società, che sostanzialmente si sviluppa di giorno in giorno su una freccia del tempo caratterizzata dall’economia monetaria, l’industria rimane competitiva se si evolve ogni anno. Se il prossimo anno l’industria fa lo stesso fatturato di quest’anno, [essa] tende a fallire. La capacità dell’industria di dire «io sono una industria “green“, un’industria verde, ho la necessità di non inquinare» è “legata”, tra virgolette, al far credere al consumatore che si abbia come primo interesse la salute del consumatore stesso. L’industria non ha questo interesse, se non nella misura in cui, se s’inquina tanto, il consumatore muore e nulla gli si può più vendere. Il modello mentale dell’industriale sta cambiando, ma con grande difficoltà perché si è comunque vincolati sempre all’idea dei soldi.
SOTTOPRODOTTI DELLE REAZIONI E RAPPORTI INDUSTRIALI
[…] Le industrie collaborano tra di loro oppure non? Se io ho un sottoprodotto di cui non so cosa farmene, lo posso dare a un’altra industria che usa questo sottoprodotto per fare un suo processo industriale e così non lo butto via, non lo distruggo, lo faccio usare a un altro. Questo è ciò che succede normalmente, ma va tenuto presente che un’industria non ha alcun interesse a favorire un’altra industria, perché ciò vorrebbe dire darsi le martellate “sui piedi” da un punto di vista economico. In questo contesto, quindi, se io faccio un prodotto molto importante, e ho un sottoprodotto della reazione che dovrei smaltire, lo posso dare a te, altra industria? Si, ma te lo vendo.
In questo contesto il rapporto che c’è fra le industrie non è un rapporto alla “volemose bene”, ma è un rapporto sempre basato su leggi che riguardano unicamente l’economia. Il problema dell’etica, nell’industria, viene visto in un modo molto particolare e cioè va tenuto presente che l’industria dovrebbe avere un’etica, ma questa etica è comunque legata a doppia maglia, a doppio filo, tenacemente all’aspetto economico. Quindi la cosa che interessa all’industria non è fare una buona chimica, anche se ti dicono che è così. L’interesse primario è fare dei soldi. Dietro al fare dei soldi c’è l’interesse di mantenere una produzione in attivo, di mantenere un certo numero di operai – da un punto di vista politico – occupati. Quindi un’industria è legata anche alla politica dell’ambiente. In questo senso la politica ha una sua capacità “inquinante”, perché in qualche modo l’atto politico ricade su un atto industriale il quale a propria volta ricade sui sottoprodotti fatti dall’industria.
LA GREEN CHEMISTRY NEI PROCESSI INDUSTRIALI: L’ESEMPIO DELLA SOLVAY
Ovviamente, per tutto quello che si è detto finora, anche le industrie italiane si stanno un po’ attrezzando, nel tentativo di migliorare i loro processi industriali. Si comincia dalle piccole cose e poi, piano piano, si cerca di migliorare. Per esempio – siamo in Toscana – la Solvay, ha in progetto di migliorare quella che è la produzione del polipropilene. Per sintetizzare il polipropilene si usa un solvente, che è l’esano. L’esano è un solvente poco raccomandabile perché prende fuoco facilmente, ma ci sono due ipotesi di lavoro. Credo che la Solvay stia, in questo frangente, tentando di sostituire o l’esano con l’eptano (che è una molecola che ha un atomo di carbonio in più, quindi sicuramente ha delle caratteristiche migliori dal punto di vista della green chemistry, ed è accettato negli elenchi dei solventi della green chemistry) il quale ha anche un punto di fiamma più alto, quindi prende fuoco meno volentieri, ha una tensione di vapore più favorevole (cioè se ne respira meno) qualora qualche molecola si spargesse nell’aria (cosa che non dovrebbe succedere tecnicamente). Avendo un punto di ebollizione più alto è più facile purificarlo, con processi di distillazione. Però ha uno svantaggio. Lo svantaggio è che è più denso. Quindi è più difficile per la paletta agitante del reattore, girare, amalgamare, tutti quelli che sono i componenti, anche solidi, perché si tratta di utilizzare dei sali di alluminio, con il propilene.
[…] Sicché si sta valutando questa cosa. Ma si sta valutando anche un’altra cosa, cioè di fare la polimerizzazione in bulk (come si dice in termine tecnico), cioè senza solvente, in modo da bypassare completamente il problema della gestione del solvente, delle impurezze che quest’ultimo si porta dietro tutte le volte che viene riciclato, del fatto che non si riesca mai a riciclarlo tutto e una parte vada comunque alla fiamma.
Questo è uno dei casi che sono stati trattati anche qui, al nostro dipartimento, con alcune tesi dei nostri studenti per la laurea breve del terzo anno. Studenti che s’interessavano di verificare come l’esano utilizzato da questa industria potesse essere meglio purificato, e meglio riciclato quindi, negli step successivi.
Intervista a cura di Joel Samuele Beaumont
Trascrizione a cura di Francesco Chini
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Corrado Malanga è chimico organico all’Università di Pisa. Laureatosi in Chimica nel 1977 presso la medesima università con una tesi sperimentale sul chimismo del nucleo indolico, si dedica inizialmente allo studio delle sintesi di polimeri otticamente attivi dell’ossido di propilene e all’approfondimento della chimica degli eterocicli, per poi interessarsi all’elaborazione di nuove sintesi di composti naturali. Docente dal 1983 nell’ateneo pisano, durante i suoi anni d’insegnamento è relatore e correlatore d’innumerevoli tesi di laurea in chimica e chimica industriale e pubblica più di cinquanta lavori su riviste scientifiche internazionali.
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Questo articolo è il secondo di una serie di articoli sulla Green Chemistry. Il primo articolo è consultabile qui.