L’arte di ignorare i poveri

SAMSARA-food-sequence-290x290Vorrei riflettere su uno dei più antichi esercizi umani, il processo per mezzo del quale nel corso degli anni, dei secoli in realtà, ci siamo impegnati a toglierci i poveri dalla coscienza.
I ricchi e i poveri hanno convissuto, sempre scomodamente e alle volte pericolosamente, sin dalla notte dei tempi. Plutarco arrivò a dire “lo squilibrio tra ricchi e poveri è il morbo più antico e fatale delle repubbliche”. E i problemi che sorgono dalla reiterata coesistenza di abbondanza e miseria – in particolare il processo per cui grandi fortune sono giustificate in presenza di sfortune altrui – sono stati una preoccupazione intellettuale per secoli. Continuano ad esserlo a tutt’oggi.
Si inizia con la soluzione proposta dalla Bibbia: i poveri soffrono in questa vita ma sono meravigliosamente ricompensati nella prossima. La loro povertà è una sfortuna temporanea; se poi oltre che poveri sono anche mansueti, alla fine erediteranno la terra. Questa è, per certi aspetti, una soluzione mirabile. Permette ai ricchi di godersi i loro beni invidiando i poveri per la loro fortuna futura.

Molto, molto più tardi, nei venti o trent’anni successivi alla pubblicazione nel 1776 di La ricchezza delle nazioni, ancora all’alba della Rivoluzione Industriale in Gran Bretagna, il problema e la sua soluzione iniziarono a prendere la loro forma moderna. Jeremy Bentham , quasi contemporaneo di Adam Smith , se ne uscì con la formula che per una cinquantina d’anni influenzò straordinariamente il pensiero britannico e in una certa misura anche americano: l’utilitarismo. “Per principio di utilità” Bentham disse nel 1789, “si intende il principio che approva o disapprova ciascuna azione a seconda della tendenza che sembri avere di aumentare o diminuire la felicità della parte il cui interesse è in questione.” La Virtù è, e deve essere, egocentrica. Per quanto ci fossero persone con enormi fortune e molte di più in grandi ristrettezze, il problema sociale era risolto fintantoché, di nuovo con le parole di Bentham, ci fosse “il maggior bene per il maggior numero.” La Società faceva del suo meglio per più persone possibile; si accettava che il risultato potesse essere tristemente spiacevole per i molti la cui felicità non veniva perseguita.

Intorno al 1830 fu disponibile una nuova formula, altrettanto influente a tutt’oggi, per toglier i poveri dalla coscienza sociale. È associata ai nomi di David Ricardo , un agente di borsa, e Thomas Herbert Malthus , un pastore. Le sue parti essenziali sono note: la miseria dei poveri è colpa dei poveri, e lo è perché è prodotta dalla loro eccessiva fecondità: la loro lussuria terribilmente incontrollata li porta a riprodursi al limite massimo della sussistenza disponibile.

Questo è il maltusianesimo. La povertà essendo causata a letto, i ricchi non sono responsabili né della sua creazione né di eventuali miglioramenti. Comunque, Malthus non era di suo completamente privo di senso di responsabilità: raccomandava che la cerimonia nuziale contenesse un ammonimento contro il sesso eccessivo e irresponsabile – esortazione che, bisogna dire, non è accettata come metodo anticoncezionale completamente efficace. In tempi più recenti, Ronald Reagan ha detto che la forma migliore di controllo delle nascite viene dal mercato, (le coppie innamorate dovrebbero rifugiarsi ai grandi magazzini, non a letto). Malthus, bisogna dire, era almeno altrettanto pertinente.

Verso la metà del XIX secolo, una nuova forma di diniego raggiunse grande influenza, specialmente negli Stati Uniti. La nuova dottrina, associata al nome di Herbert Spencer , era il Darwinismo Sociale. Nella vita economica, come nello sviluppo biologico, la regola predominante è la sopravvivenza del più adatto. Quella frase –”sopravvivenza del più adatto” – deriva nei fatti non da Charles Darwin ma da Spencer, ed esprimeva la sua visione della vita economica. L’eliminazione dei poveri è il modo della natura di migliorare la razza. Una volta che i deboli e i disgraziati siano stati estromessi, la qualità della famiglia umana ne esce rafforzata.

Uno dei più illustri portavoce americani del darwinismo sociale fu John D. Rockefeller – il primo Rockefeller – che disse in un famoso discorso: “la rosa American Beauty può essere prodotta nel suo splendore e con la fragranza che allieta chi la osserva solo sacrificando i germogli precoci che le crescono intorno. E così è anche nella vita economica: si tratta semplicemente del compimento di una legge di natura e di una legge di Dio”.

[…]
Alla fine, quando tutto il resto fallisce, ricorriamo alla semplice rimozione. È una tendenza psicologica che in varia misura è comune a tutti. Fa sì che evitiamo di pensare alla morte. Fa sì che moltissime persone evitino il pensiero della corsa agli armamenti e alla conseguente probabile estinzione. Con lo stesso processo di rimozione, ci rifiutiamo di pensare ai poveri. Sia che si trovino in Etiopia, nel South Bronx o anche in un paradiso come Los Angeles, decidiamo di tenerli fuori dai nostri pensieri. Pensa, spesso ci dicono, a qualcosa di bello.

Questi sono i sistemi moderni per sfuggire la preoccupazione per i poveri. Tutti, tranne forse l’ultimo, discendono dalla grande linea intellettuale di Bentham, Malthus e Spencer. Ronald Reagan e i suoi colleghi rientrano chiaramente in una grande tradizione – alla fine di una lunga storia di sforzi per evitare la responsabilità verso i propri compagni umani. Così sono i filosofi ora celebrati a Washington: George Gilder, un grande favorito del recente passato, che dice tra gli applausi che i poveri devono avere lo sprone delle loro sofferenze per assicurare uno sforzo; Charles Murray, che, ancora più acclamato, contempla “demolire l’intera struttura federale di previdenza sociale e supporto al reddito per lavoratori e anziani, compresi gli aiuti ai minori, Medicaid, tessere alimentari, sussidi di disoccupazione, rimborsi per infortuni, case popolari, pensioni di invalidità e” aggiunge “tutto il resto. Tagliare il nodo, perché non c’è modo di scioglierlo.” Con una sorta di triage, i meritevoli verrebbero selezionati per sopravvivere; la perdita degli altri è il prezzo da pagare. Murray è la voce di Spencer ai nostri giorni: sta godendo, come si è detto, di una popolarità senza pari negli alti circoli di Washington.

La compassione, con associato pubblico sforzo, è il comportamento meno comodo e meno conveniente di questi tempi. Ma rimane l’unico compatibile con una vita completamente civilizzata. Ed è anche, alla fine, la via più sinceramente conservatrice. Non c’è paradosso: il malcontento popolare e le sue conseguenze non derivano da gente contenta – ovviamente. Nella misura in cui riusciremo a rendere la soddisfazione quanto più universale possibile, salvaguarderemo e estenderemo la tranquillità sociale e politica alla quale i conservatori, più di ogni altro, anelano.

John Kenneth Galbraith

Fonte: Teca Libri